Anzitutto un paio di premesse: uso il termine “consumatore” non solo per adeguarmi al linguaggio che oggi va per la maggiore quando si parla di microeconomia – facendo ciò non intendo certo accodarmi al gregge di fan del consumismo capitalista, voglio solo rendere le mie riflessioni contestualizzabili e intelligibili – ma anche per definire bene una categoria che fa della spersonalizzazione, dell’influenzabilità e della totale mancanza di capacità di scelta critica le sue caratteristiche principali.
In questo senso, “consumatore” rende ottimamente l’idea di una persona che non sceglie un prodotto perché costa meno, perché è più salutare, perché appartiene alla propria tradizione gastronomica; lo sceglie semplicemente perché è indotto a farlo e non può farne a meno.
Consumatore sta a indicare quindi il dente di un ingranaggio del macchinario crudamente definito “produci-consuma-crepa” a cui – nostro malgrado – tutti noi siamo oggi sostanzialmente impossibilitati a sottrarci.
Fatta questa doverosa precisazione semantica, vediamo allora come – grazie alla crisi – possiamo analizzare alcuni dei nodi che caratterizzano il settore della grande distribuzione italiana.
Prima di tutto, una situazione in cui, per cause di forza maggiore, il cliente vede ridotte drasticamente le sue possibilità d’acquisto per il semplice e banalissimo motivo che non ha più soldi, è per definizione dannosa per un sistema che ha fondato la sua fortuna sul consumo sfrenato e sregolato.
Quali sono quindi le conseguenze per i supermercati, luoghi simbolo dell’economia occidentale moderna? Il dato – prevedibile, in verità - che traspare dalle varie analisi è che le vendite sono in netto calo.
Realtà che ha riservato amare sorprese a ciascuna delle due categorie: secondo i dati di Unioncamere, le vendite del settore nel 2008 sono calate dello 0,3% rispetto all’anno precedente, dato che sembra insignificante ma che - se confrontato con la realtà in enorme e costante espansione della grande distribuzione organizzata - rende l’idea di un’improvvisa e imprevista frenata.
L’altra faccia della medaglia è un aumento del 4,8% del costo medio della spesa; il dato – già di per sé preoccupante – assume contorni ancora più allarmanti se scorporato nelle sue diverse voci: pane, pasta, olio e latte sono ai primi posti della graduatoria e l’aumento complessivo per i beni alimentari è del 5,7%.
Dati alla mano, l’accusa di speculazione si può estendere anche a chi occupa posti più a monte nella filiera che – attraverso un’infinita (e spesso inutile) serie di passaggi – porta questi prodotti dal campo allo scaffale del supermercato, quindi alla tavola del consumatore. Coldiretti, ad esempio, rileva come l’aumento del costo nella trasformazione dal grano al pane sia del 1100%, dal grano alla pasta del 1900%, mentre dal latte fresco a quello confezionato del 300%.
La situazione è però ben diversa: stiamo assistendo a un passaggio certamente epocale, in occasione del quale stanno cominciando a dilatarsi le crepe che sin dalla sua nascita hanno segnato le fondamenta del sistema di crescita capitalistico. Il consumismo – anima del capitalismo – si basa appunto sul concetto di progresso, di crescita sfrenata, di espansione continua e illimitata; tutto ciò a discapito di risorse che hanno una fine – sia essa un limite fisico o un soglia di sopportazione.
Catastrofisti o sostenitori di teorie apocalittiche potrebbero facilmente giocare con le mie parole sentenziando che questa fine è vicina; probabilmente non è così ma, senza scadere nel sensazionalismo di bassa lega, possiamo affermare che è veramente giunto il momento di passare a un atteggiamento differente, responsabile, consapevole, rispettoso verso l’ambiente in cui viviamo – che ci ha generato e nonostante tutto continua a sostentarci - e verso le nostre tradizioni e le nostre identità, un atteggiamento che si basi sulla decrescita e non sulla crescita, sulla semplicità volontaria piuttosto che sul cieco e indiscriminato consumo.
Questo è il messaggio importante e decisivo per il nostro futuro che anche un momento difficile come l’attuale crisi economica può comunicarci.
2 Febbraio 2009 - Scrivi un commento