In “Anche questo è Sud”, la voce inconfondibile di Rino Gaetano cantava di una fuga liberatoria verso le labbra di una donna distesa sul mare, in attesa del bacio d’amore. Rispetto alla nebbia di pianura, il Sud era dunque l’altrove; il salato, accecante miraggio di una condizione di evasione dalla città inquinata. Un luogo dell’immaginario ben conosciuto che ancora oggi trova spazio nei sogni vacanzieri di tanti italiani.
Ma, ovviamente, come è ben chiaro a chi devia dai percorsi e dalle mete più tradizionali, esiste un altro Sud, meno battuto ma ricchissimo di suggestioni, storia e cultura. È in questo territorio, non certo inesplorato ma soltanto meno pubblicizzato dai canali di promozione turistica, che abbiamo voluto addentrarci con un camper motorhome da cinque posti, talmente “di famiglia” da avere perfino un nome proprio: Iole.
A bordo siamo al completo, con mamma Margherita a placare le intemperanze di Lorenzo e Paolo, rispettivamente di 5 e 3 anni. Il turismo itinerante è la nostra grande passione, un modo per isolarci e per connetterci allo stesso tempo. Per diventare un compatto “nucleo” familiare attratto da infiniti campi magnetici da visitare, gustare, amare.
Così, anche quest’anno si parte. La prima tappa è il famoso Castel del Monte, edificio del XIII secolo fatto erigere da Federico II su una collina delle Murgie, in Puglia. Ma a cosa serviva questo bellissimo “castello” dall’insolita pianta ottagonale? Era un presidio militare, un casino di caccia o un osservatorio astronomico? Un tempio religioso o una residenza ricreativa? Le ipotesi in campo sono molte e gli esperti ancora non sono riusciti a risolvere in via definitiva il rebus. A noi, come alla gentile guida che ci conduce tra le belle sale e gli indecifrabili corridoi, piace pensare che il Castello fosse un’Università, un luogo in cui alimentare il fuoco della conoscenza e far maturare i saperi nati dall’incontro della cultura classica, con quella araba e nordeuropea.
Di sicuro quel che sappiamo è che, per essere un castello, l’edificio era poco funzionale: mancava di cucine, stalle, scantinati e sotterranei; aveva solo cinque piccoli camini per le 16 stanze di cui era fornito e non aveva ripostigli in cui conservare la legna (bisogna tener conto che ogni anno da queste parti -a 540 metri sul livello del mare- non sono poche le nevicate). Particolare interessante, l’edificio era tuttavia fornito di cisterne per la raccolta delle acque piovane e di veri e propri bagni, dotati di latrina e lavabo, ed affiancati tutti da un piccolo ambiente, probabilmente utilizzato come spogliatoio o forse destinato ad accogliere vasche per abluzioni, poiché la cura del corpo era molto praticata da Federico II e dalla sua corte.
La mattina dopo si parte di buon ora verso la Calabria, una bellissima regione che potrebbe fare del turismo di qualità un potente motore del proprio sviluppo. Attualmente, infatti, la regione accoglie un flusso di circa un milione e mezzo di turisti l’anno, che potrebbero perfino raddoppiare (l’Emilia Romagna si attesta sui 2,3 milioni di turisti), se si agisse sul piano della promozione e della ristrutturazione dell’offerta ricettiva. E poi la Calabria non è solo mare. Oltre a circa 750 km di costa, possiede infatti un importante patrimonio culturale e delle meravigliose bellezze naturali da offrire ai visitatori che, come noi, in questo caldo agosto, decidono di restare nel più tranquillo e fresco entroterra.
La nostra meta prescelta è un agricampeggio nel Parco Nazionale del Pollino, a 820 metri di altitudine, vicino a Moreno Calabro, un paese che non possiamo fare a meno di vistare, visto che si tratta di un centro medievale molto bello, incluso nel circuito dei comuni più belli d’Italia e bandiera arancione del Touring Club. Una fama che deriva dalla storia e dalla bellezza di questo caratteristico borgo, che abbiamo la fortuna di visitare accompagnati da una guida veramente speciale. Infatti, fortuna vuole che, appena parcheggiato il camper, un simpatico vecchietto con bastone e baffi bianchi, ci intercetti davanti l’ingresso del giardino pubblico e si offra di portarci fino in cima, dove si trovano i resti dell’antico castello.
Il nostro Virgilio ci spiega così le scorciatoie, ci fa vedere la sua bella casetta, finché ci indica la salita finale che porta alle rovine dell’antica rocca di epoca normanna, costruita intorno all’anno Mille. Da qui si domina l’intera valle a 360°. La vista è molto bella, sia che si volga lo sguardo alle cime circostanti, ai boschi nel fondo valle o alle vecchie case del paese. Ma arrivati lassù, neanche il tempo di scattare qualche foto che dobbiamo ripartire per il nostro agricampeggio, perché il proprietario si è offerto di far fare un giro a cavallo a Lorenzo. Arriviamo giusto in tempo per conoscere Rondine, una cavallina di mezza età che porta a passeggio Lorenzo, Paolo e mamma Marghe. Dopo il giro, cena, relax e ninne.
L’indomani, al momento della colazione ci guardiamo e ci diciamo: beh, cosa fa il classico turista in Calabria di bello? Ma è chiaro, del buon rafting! Strano a dirsi ma proprio vicino a noi c’è la sede di un’associazione che organizza escursioni sul fiume Lao, tra cui proprio alcune facili discese di rafting. Così ci prepariamo in fretta per arrivare il prima possibile al centro ed iniziare la nostra avventura. Purtroppo il nostro entusiasmo è in parte spento dalle guide fluviali che ci dicono che Paolo è ancora troppo piccolo per partecipare. Così io e lui restiamo al bar del paese a gustarci un gelato, mentre Margherita e Lorenzo “seguono la corrente” e si lanciano nell’impresa.
Quando ci rivediamo, due ore dopo, i racconti sono entusiasti: è stata una vera avventura tra bagni, salti col gommone e avvistamenti di uccelli di bosco. Al netto dell’esaltazione di Lorenzo, non abbiamo difficoltà a credere alla bontà della cronaca. Il Lao è davvero un fiume stupendo, che nasce in Basilicata a duemila metri di altezza per sfociare vicino Scalea, sulla costa tirrenica della Calabria. Durante il percorso il fiume scorre in una bellissima gola scavata nella roccia grazie ad un’opera millenaria di costante erosione, quasi a dimostrare che, secondo una legge di natura, il movimento (insito nella forza del fiume) ha sempre la meglio sulla staticità della materia, anche la più dura e tenace. E’ solo questione di tempo. Domanda d’obbligo: ma questa tendenza al cambiamento varrà anche per gli esseri umani?
Dopo un momento di rara riflessione filosofica, torniamo alla quotidiana prosaicità e, sulla via del ritorno, ci fermiamo a comprare delle marmellate e dei formaggi locali buonissimi per la cena. Ben rifocillati, quindi, andiamo a letto soddisfatti.
Il complesso racchiude tantissimi ambienti, molto diversi tra loro. Siamo colpiti, in particolare, dal vastissimo chiostro, dalle celle (oggi utilizzate per ospitare mostre d’arte) e dalle smisurate cucine. Proprio qui, tra camini mastodontici e lavandini lunghi come station wagon, una volta venne cucinata una celebra frittata con 1.000 uova, destinata al palato di Carlo V di Spagna che, al ritorno dalla vittoriosa battaglia di Tunisi contro i Barbareschi, sostò con tutto il suo esercito presso il monastero certosino. I cenobiti prepararono per l’illustre ospite una pantagruelico pasto, comprendente, tra le altre pietanze, la mitica frittata. Un’opera veramente imponente che avremmo voluto vedere ma che riusciamo lo stesso ad immaginare guardandoci intorno ed ammirando la solidità e la possanza della Certosa. La cosa più significativa qui è che, pur nelle sue dimensioni e nella sua fisicità, l’intero complesso riesce a mantenere la giusta sobrietà e a suscitare una certa ispirazione verso la dimensione metafisica dell’esistenza.
Dopo questo viaggio nell’elemento mistico dell’aria, decidiamo che ci vuole proprio un contatto più diretto con la terra, per riequilibrare la situazione. Detto fatto e il navigatore è impostato sulla vicina Pertosa, per visitare le Grotte dell’Angelo, dette anche di Pertosa-Auletta per un’intricata questione diplomatica intercomunale. Visto che è tardi e bisogna rimandare la visita all’indomani, ci fermiamo in un agricampeggio lì vicino. E’ un posto molto rustico e un po’ decadente, dove vivono molti animali: cavalli, conigli, pecore, galline, oche e cinghiali. La cucina del ristorante interno non delude le aspettative per la cena e la troviamo molto buona ed abbondante. Andiamo, così, a letto felici e contenti, anche per via del vino e del liquore ai semi di finocchio, davvero buonissimo!
La visita alle grotte si dimostra molto interessante. Il primo percorso si fa in barca ed è piuttosto suggestivo, anche se, a chi ha esperienza con alcune datate attrazioni del LunEur di Roma, può ricordare un percorso artificiale da luna park invece di un percorso turistico in un luogo naturale, che ha impiegato ben 35 milioni di anni per diventare così come lo vediamo oggi.
Comunque non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze. La guida, molto preparata, ci spiega la storia delle grotte ed il motivo per cui esiste il piccolo fiume sotterraneo navigabile. Si tratta delle acque del Negro, un fiume che, dalle più nascoste profondità, sgorga lì con una potenza di 400 litri d’acqua al secondo, tanto da essere stato sfruttato fin dal 1907 dalla Società Meridionale di Elettricità (SME), che costruì una centrale idroelettrica nei pressi della cascata all’ingresso delle grotte.
12 Luglio 2013 - Scrivi un commento