Introduzione
Parlare della contaminazione del latte materno da parte di sostanze inquinanti, tossiche e pericolose vuol dire affrontare un argomento che fa venire i brividi al solo pensiero, tanto è lo sgomento che suscita in qualunque persona dotata di un minimo di sensibilità e buon senso.
Prendere coscienza del fatto che l’alimento più prezioso al mondo - che non esito a definire “sacro” - contenga ormai quantità elevate di sostanze pericolose e cancerogene, specie se proveniente da mamme residenti in territori industrializzati, è un argomento tabù e che credo non possa lasciare indifferente nessuno.
Forse, proprio per questo, tale argomento è fino ad ora rimasto confinato nell’interesse di pochi specialisti del settore e non è mai emerso, con l’attenzione che merita, al grande pubblico.
Il fatto di non parlare di questo problema e soprattutto l’averlo affrontato, almeno nel nostro paese, in modo sporadico, volontaristico e non sistematico e su larga scala, non contribuisce tuttavia a risolverlo, anzi, come tutte le cose lasciate nel dimenticatoio, quando un problema di una tal portata emerge rischia di “esplodere”, lasciando spiazzati per i dubbi e gli interrogativi che pone innanzi tutti medici e pediatri, ma, ancor più, ovviamente le mamme che si chiedono quali possono essere le conseguenze di tutto ciò per i loro bambini. Ma perché proprio ora se ne parla?
Antefatto: l’inceneritore di Montale
Il problema è emerso grazie al fatto che due mamme, residenti in area di ricaduta dell’inceneritore di Montale (Pt), si sono volontariamente sottoposte all’analisi del proprio latte grazie a fondi raccolti dal locale comitato contro l’inceneritore.
La questione è complessa e per una analisi più dettagliata della travagliatissima storia di questo impianto, si rimanda al documento, a firma del Dott. M. Bolognini, Medico Igienista, scaricabile sul sito dell’Ordine dei Medici di Pistoia(1). Qui si vuol solo dare una breve descrizione della situazione, in modo da capire bene il contesto in cui si è arrivati all’esame del latte materno per iniziativa dei cittadini.
L’inceneritore di Montale tratta 120 ton/giorno (pari a circa 36.000 ton/anno), recentemente autorizzato a 150 ton/giorno (45.000 ton/anno), destinato a bruciare rifiuti urbani ma anche ospedalieri e speciali ed è situato nella piana fiorentina, al confine fra 4 comuni: Agliana, Prato, Montale, Montemurlo.
L’impianto ha sempre presentato criticità ed anche in passato erano stati riscontrati superamenti nelle emissioni di diossine, ma, grazie a deroghe, aveva sempre continuato a lavorare.
Nel maggio 2007 furono effettuati routinari controlli i cui risultati analitici, comunicati solo in luglio, evidenziarono un importante sforamento per diossine, che fu confermato nella successiva indagine eseguita a distanza di pochi giorni per cui, a distanza di oltre due mesi dalla prima indagine si giunse, il 19 luglio 2007, alla sua temporanea chiusura.
Nei mesi di funzionamento, da maggio a luglio, facendo una media delle emissioni, si può stimare che siano stati emessi 50.000.000 ng di diossine ovvero quanto l’impianto avrebbe potuto emettere in quasi un anno e mezzo di attività.
Dal 2007 al 2009, anche in seguito alle vivaci polemiche che tutta la vicenda aveva sollevato, da parte di ARPAT ed ASL furono fatte analisi sia di tipo ambientale (suoli, vegetali, ecc.) che su matrici biologiche (uova, carne di manzo, polli, anatre e pesce gatto del locale parco pubblico) secondo la mappa di ricaduta riportata in Fig.2.
La media delle diossine nel suolo, secondo il modello di ricaduta fornito da ARPA, ed escludendo un dato del tutto anomalo riscontrato in prossimità dello svincolo autostradale di Pistoia, in via Ciliegiole (sito oggetto di pregresso grave incidente ambientale per incendio di un grande deposito di prodotti per l’agricoltura) è riportato nella Fig. 3.
Come ben si evince dalla Tab. 1, la cosa più eclatante fu il riscontro in 5 su 8 casi di polli esaminati di livelli di diossine superiori a quelli consentiti per la commercializzazione: ciò malgrado, a tutt’oggi, nessun divieto in tal senso è stato comunque emanato.
Analisi su latte materno
Trattandosi di sostanze persistenti e bioaccumulabili, che finiscono per accumularsi nel nostro stesso organismo, passano dalla madre al feto ed anche attraverso il latte, due mamme residenti in area di ricaduta, hanno volontariamente accettato di sottoporre ad analisi il proprio latte, a circa due settimane dal parto.
L’indagine è stata eseguita presso il Consorzio Interuniversitario Nazionale la Chimica per l’Ambiente, Via delle Industrie 21/8 di Marghera (Ve) ed il costo è stato sostenuto grazie ai fondi raccolti dal comitato contro l’inceneritore. Il campione A proviene da mamma di 30 anni, alla prima gravidanza, il campione B da mamma di 32 anni, con due pregressi aborti spontanei e due gravidanze a termine con relativi allattamenti. Nessuna delle due presenta patologie di rilievo all’anamnesi, abitudini di vita regolari, alimentazione variata.
Campione A
Totale WHO-PCDD/F –TEQ pg/g di grasso = 3,984 (limite sup 3,986)
Totale WHO – PCDD/F-PCB-TEQ pg/g di grasso = 10,621
Campione B
Totale WHO-PCDD/F –TEQ pg/g di grasso = 5, 507 (limite sup 5,507)
Totale WHO – PCDD/F-PCB-TEQ pg/g di grasso = 9,485
Di particolare interesse nel caso in oggetto è il profilo di 12 molecole diossino-simili appartenenti ai Policlorobifenili (PCB dioxin-like) riscontati nei campioni di latte materno che, come si vede dalla Fig. 4, è del tutto sovrapponibile al profilo dei PCB emessi all’impianto (analisi a camino di ARPA e del gestore) ed al profilo dei PCB riscontrati nella carne di pollo.
Diossine e PCB: cosa sappiamo?
Con il termine di “diossine” si indica un gruppo di 210 composti chimici appartenenti agli idrocarburi policiclici aromatici e formati da carbonio, idrogeno, ossigeno e cloro. Capostipite di queste molecole è la TCDD (2,3,7,8–tetraclorodibenzo-p-diossina), nota anche come “diossina di Seveso” tristemente famosa in seguito all’incidente occorso ad un reattore di una multinazionale svizzera, la Roche, a Seveso, il 6 maggio del 1976.
L’incidente determinò la fuoriuscita di una nube tossica di tale sostanza con contaminazione del territorio e danni alla salute per le persone esposte sia di tipo acuto che a lungo termine. Tali danni si protraggono nel tempo e a tutt’oggi vengono riscontrati e studiati: è di recente pubblicazione, ad esempio, il fatto che i bambini nati da madri coinvolte nell’infanzia nell’incidente di Seveso presentano alla nascita alterazioni della funzione tiroidea in modo statisticamente significativo: ciò significa che anche se questi neonati non sono stati direttamente esposti all’incidente di Seveso le conseguenze dell’esposizione materna si riscontrano a distanza di oltre 30 anni dall’incidente. (2)
Queste molecole sono divise in due famiglie: policloro-dibenzo–p-diossine (PCDD) e policlorodibenzofurani PCDF o furani); le singole molecole appartenenti a tali famiglie vengono indicate col termine di “congeneri” e, nello specifico, si contano 75 congeneri di PCDD e 135 congeneri di PCDF.
Si tratta di molecole particolarmente stabili e persistenti nell’ambiente; i loro tempi di dimezzamento (ovvero il tempo necessario perché la dose si dimezzi) variano a seconda delle molecole e della matrice esaminata: ad esempio per la TCDD i tempi di dimezzamento sono da 7 a 10 anni nel corpo umano e fino a 100 anni nel sottosuolo.
Si tratta di sostanze insolubili in acqua e che hanno viceversa una elevata affinità per i grassi. Sono soggette a bioaccumulo, cioè si concentrano negli organismi viventi in misura nettamente maggiore rispetto all’ambiente circostante; nell’uomo la loro assunzione avviene per oltre il 90% per via alimentare, specie attraverso latte, carne, uova, formaggi ecc...(3)
Sia PCDD che PCDF rientrano fra i 12 Inquinanti Organici Persistenti riconosciuti a livello internazionale e messi al bando dalla Convenzione di Stoccolma sottoscritta da 120 paesi, fra cui l’Italia. Le diossine sono sottoprodotti involontari dei processi di combustione e si formano in particolari condizioni di temperatura ed in presenza di Cloro.
Secondo l’ultima edizione dell’inventario europeo delle diossine (4) le principali fonti per l’Italia di produzione di tali inquinanti sono rappresentate dalle combustioni industriali (64.4%), di cui oltre la metà (37% del totale) da incenerimento di rifiuti urbani, il traffico stradale contribuisce solo per l’1.1%.
A differenza delle diossine i Policlorobifenili (PCB) sono stati invece prodotti deliberatamente dall’uomo tramite processi industriali. La loro produzione è iniziata negli anni 30 ed è perdurata per oltre 50 anni, fino al 1985, quando sono stati ufficialmente banditi stante la loro pericolosità. Dei PCB si conoscono 209 cogeneri, 12 di questi sono molto affini alle diossine e vengono denominati “dioxinlike”.
Anche questi sono composti molto stabili, anche ad alte temperature, decomponendosi solo oltre i 1000-1200 gradi. Sono stati utilizzati sia in sistemi chiusi (trasformatori) che come additivi per ritardanti di fiamma, antiparassitari ecc..
Tossicità
La TCDD (o diossina di Seveso) è stata riconosciuta nel 1997, a 20 anni dal disastro di Seveso ed anche in seguito agli studi fatti sulla popolazione esposta, come cancerogeno certo per l’uomo ad azione multiorgano ed è conosciuta come la sostanza più tossica mai conosciuta; la sua tossicità per l’uomo si misura infatti in picogrammi, ovvero miliardesimo di milligrammo ed è legata alla straordinaria affinità che la diossina ha per il recettore AhR (Aryl Hydrocarbon Receptor), un recettore presente ampiamente nelle cellule umane, ma non solo: esso è infatti presente in vertebrati marini, terrestri e aviari e si è ampiamente conservato nel corso dell’evoluzione.
In particolare, l’AhR sembra avere un ruolo chiave per il normale sviluppo del sistema immunitario, vascolare, emopoietico, endocrino, come dimostrano esperimenti condotti su animali trans-genici (ovvero modificati in modo da essere geneticamente privi di questo recettore) ed è coinvolto nelle più disparate funzioni cellulari (proliferazione, differenziazione, morte cellulare programmata) fino alla regolazione del ritmo sonno-veglia.
Di straordinario interesse la recente scoperta che tale recettore attiva i linfociti T regolatori (T reg), determinando di fatto una immunodepressione e spostando l’equilibrio del sistema immunitario verso una maggior tolleranza nei confronti delle cellule trasformate in senso tumorale.(5)
Diossine e PCB rientrano poi nel grande gruppo di sostanze denominate “endocrin disruptor”, ovvero inferenti o distruttori endocrini, nel senso che mimano l’azione degli ormoni naturali interferendo e disturbando funzioni complesse e delicatissime dell’organismo, quali quelle 6 immunitarie, endocrine, metaboliche, neuropsichiche.
Di fatto l’esposizione a diossine è correlata sia allo sviluppo di tumori (in particolare, per la TCDD, a linfomi, sarcomi, tumori a fegato, mammella, polmone, colon) ma anche a disturbi riproduttivi, endometriosi, anomalie dello sviluppo cerebrale, endocrinopatie (in particolare diabete e tiroide), disturbi polmonari, danni metabolici con innalzamento di colesterolo e trigliceridi, danni cardiovascolari, epatici, cutanei, deficit del sistema immunitario.
Da studi condotti in particolare su cavie risulta che l’esposizione a diossine è particolarmente pericolosa durante le prime fasi della vita, specie in determinate “finestre espositive” (6) ovvero specifici momenti dello sviluppo embrionale e fetale. I limiti raccomandati da OMS ed Unione Europea sono di 2 pg/kg di peso corporeo al dì, per cui un individuo adulto di 70 kg dovrebbe assumerne giornalmente al massimo 140 pg.
Va inoltre ricordato che, attribuita per convenzione alla TCDD una tossicità pari a 1, tutti gli altri congeneri hanno una tossicità inferiore, anche di molti ordini di grandezza. Anche per i diversi congeneri la tossicità è funzione della affinità del legame fra singola molecola e recettore AhR, che, per quanto sopra detto, è inferiore rispetto alla TCDD.
La tossicità dei vari congeneri rispetto alla TCDD è espressa con un Fattore di Tossicità Equivalente (TEF); dal momento che nelle diverse matrici sono presenti miscele dei diversi congeneri si è introdotto il concetto di Tossicità Equivalente (TEQ), che si ottiene sommando tra loro i prodotti tra i fattori TEF dei singoli congeneri e le rispettive concentrazioni con cui si presentano nella matrice in esame.
Diossine nel latte umano: risultati
Per le caratteristiche proprie di queste molecole (persistenza, bioaccumulo, lipofilia, concentrazione, specie in alimenti proteici quali carne, uova, latte) le diossine si accumulano, proprio perché l’uomo è all’apice della catena alimentare, nel nostro stesso corpo e vengono trasmesse già durante la vita fetale (unitamente ad altri inquinanti) e poi attraverso l’allattamento dalla madre al bambino.
Non va dimenticato che questi non sono certo gli unici inquinanti presenti nel nostro organismo: si stima infatti che ben 300 sostanze tossiche, di cui molte cancerogene, si trovino stabilmente nel nostro organismo e siano, al pari delle diossine, trasmesse alla prole; ricordiamo, per esempio, mercurio, piombo, nichel, arsenico, cadmio, benzene, idrocarburi policiclici aromatici, pesticidi ecc..
Tornando al latte materno, la quota di diossine presenti varia, da dati di letteratura pubblicati fino al 2004 (7-10) da 3.2 pg a 15 pg TEQ/grammo di grasso; sapendo che la componente grassa è circa il 4% del latte, si può facilmente calcolare la dose introdotta quotidianamente da un bimbo di pochi mesi che assuma 800-1000 cc di latte materno al giorno, essa varierà da 80-90 pg a 500-600 pgTEQ/die.
È interessante notare che la quota di diossine presenti nel latte materno varia a seconda che i campioni provengano da mamme residenti in aree rurali o industrializzate. La quota di diossine presenti nel latte materno è comunque elevata e ciò comporta che un bambino allattato al seno assuma quotidianamente una dose nettamente superiore a quella raccomandata dall’OMS che, ricordiamo, è di 2 pg/kg corporeo, per cui un bimbo di 5 kg dovrebbe assumerne al massimo 10 pg.
Mentre in Italia mancano dati puntuali e su larga scala per indagare gli inquinanti su latte materno e quelli disponibili spesso sono stati condotti su “pool” di campioni, in altri paesi risultano condotti studi di maggior respiro. Ad esempio, di recente è stato pubblicato un lavoro eseguito su 169 puerpere in Germania (11) che ha mostrato concentrazioni (sempre espresse in pg per grammo di grasso) di PCDD/F e PCB variabili tra 3.01 e 78.7 pg TEQ/g di grasso, con un valore medio pari a 27.27 pg TEQ/g; le donne che avevano vissuto lontano da aree industrializzate mostravano i valori più bassi.
Un altro studio effettuato su 120 puerpere giapponesi, della zona di Tokio (12), mostrava valori totali medi di PCDD/Fs e Co-PCBs (policiclobifenili complanari) nel latte materno pari a 25.6 pg TEQ/g di grasso.
In Cina, uno studio recentissimo (13) e molto ampio, in quanto condotto su 1237 campioni provenienti da altrettante puerpere in 12 provincie del paese e rappresentativo del 50% dell’intera popolazione cinese, ha fornito i seguenti risultati per PCDD/PCDF-PCB: valori di TEQ, espressi in pg/g di grasso, variabili da 2.59 a 9.92, con una media di 5.42. Anche da questo studio si è confermato che il latte di puerpere residenti in aree rurali era fortemente meno inquinato di quello di donne residenti in aree industrializzate.
In Italia, a Taranto (14), anche qui come a Montale per iniziativa spontanea di cittadini, sono stati eseguiti esami su 3 campioni di latte materno con valori di TEQ di PCDDF e PCB dioxin-like, espressi in pg/g di grasso, rispettivamente di 31.37, 26.18 e 29.40.
Il valore medio (media aritmetica) risulta essere 29.1 pgTEQ/g di grasso, più alto del 13.6% di quelli ottenuti in Giappone e del 6.7% rispetto alla media ritrovata nello studio tedesco. Valori simili a quelli di Taranto (circa 30 pg/grammo di grasso) sono stati riscontrati in un campione di latte di una mamma bresciana, fra l’altro al 3° mese di allattamento, quando una quota consistente era presumibilmente già stata ceduta al neonato. (15)
Discussione
Certamente un esame condotto su due soli campioni non può assumere una valenza scientifica, assume tuttavia un chiaro significato di denuncia e si presta ad alcune a considerazioni:
1. perché questi esami di biomonitoraggio non sono eseguiti su larga scala ed in modo sistematico nel tempo, in modo da valutare l’evolversi della quota di inquinanti presenti nel latte materno? In altri paesi viene documentato un decremento, probabilmente per effetto di misure di prevenzione conseguenti, anche, alla convenzione di Stoccolma, ma in Italia sappiamo cosa succede?
2. chi può in tutta onestà ritenere che gli attuali livelli di contaminazione del latte materno siano scevri da rischi per la salute dei bambini e non siano nevitabilmente destinati ad aumentare se si prosegue in politiche di incenerimento e combustione, sia che si tratti di biomasse o di rifiuti, come si sta registrando ovunque in Italia?
3. come ci si può ragionevolmente “fidare” di nuove o migliori tecnologie impiantistiche (BAT) se è indiscutibile che anche da un impianto tenuto sotto stretta osservazione - dopo gli incidenti occorsi - quale quello di Montale, i PCB sono emessi in quantità assolutamente non trascurabili ed altrettanto accade, fatte le debite proporzioni, per il tanto decantato inceneritore di Brescia?
4. perché in uno studio, denominato Moniter, promosso dalla Regione Emilia Romagna, con una spesa di oltre 3 milioni di Euro, condotto per valutare le ricadute sulla salute in prossimità degli 8 inceneritori della regione e varato dopo la diffusione dei dati dello studio sui due inceneritori di Forlì (studio di Coriano), non è stato previsto alcun campionamento di diossine su matrici biologiche, in particolare su latte materno di donne stabilmente residenti in area di ricaduta di tali impianti e/o in animali da cortile, dato che la via principale di assimilazione di queste sostanze è quella alimentare?
5. sappiamo bene che l’OMS raccomanda comunque l’allattamento materno fino al 6° mese pur in presenza di contaminanti e, per quanto è dato sapere, non ci sono per ora protocolli che ne valutino caso per caso la durata in funzione della quantità di sostanze presenti nel latte; è tuttavia accettabile che un bimbo di 5 kg possa indifferentemente assumere da 18 a 240 pg/kg di peso (invece dei 2 raccomandati da OMS ed UE per gli adulti) al dì a seconda che risieda in una zona rurale, a Brescia o Taranto o 80 pg/kg di peso se risiede nel territorio di ricaduta dell’inceneritore di Montale?
6. come si possono dare consigli scientificamente motivati in merito se non si impostano studi su larga scala e protratti nel tempo?
7. chi può assicurarci che il triste primato che l’Italia detiene riguardo il cancro nell’infanzia, ovvero un incremento del 2% all’anno, pressoché doppio di quello riscontrato in Europa (1.1% annuo) non abbia relazione con l’esposizione già in utero e poi attraverso il latte a questa pletora di sostanze tossiche e pericolose?
8. perché devono essere i cittadini e soprattutto le mamme a porsi questioni così cruciali dovendo sempre fare da “traino” alle istituzioni la cui unica preoccupazione sembra essere quella di “tranquillizzare” sempre e comunque i cittadini?
9. perché non ammettere – onestamente - che la questione è talmente scabrosa che di fatto si è preferito fino ad ora ignorarla? Perché non si comincia, ad esempio, con una analisi sistematica degli inquinanti presenti nel cordone ombelicale, data la disponibilità delle banche del cordone?
10. per il futuro cosa si pensa di fare? Non sarebbe il caso di cominciare chiudendo definitivamente inceneritori come quello di Montale, per il quale esistono ormai le prove del suo coinvolgimento nella contaminazione riscontrata negli alimenti e perfino nel latte materno, e al tempo stesso abbandonare le dilaganti politiche di incenerimento di materiali di ogni tipologia e composizione? I rifiuti, come dice la legge, devono essere smaltiti “senza danno per la salute e per l’ambiente” e ciò è assolutamente possibile già oggi escludendo del tutto le combustioni ed evitando in buona misura anche il conferimento in discarica.
Conclusioni
Non aver dato, almeno fino ad ora, il giusto risalto al fatto che il latte materno, nelle aree industrializzate, è pesantemente contaminato non può essere casuale; vien da pensare che l’aver trascurato questo problema sia il frutto di una rimozione dei problemi più scomodi e drammaticamente coinvolgenti, che vengono di fatto relegati in una sorta di “inconscio collettivo”.
Riconoscere infatti l’esistenza di una pesante contaminazione del latte materno nelle aree industrializzate non può non comportare, di conseguenza, il riconoscere il fallimento di un modello di “sviluppo” di una società come l’attuale, che non si è mai curata delle conseguenze delle proprie scelte e soprattutto delle ricadute su quella che dovrebbe essere al primo posto nei pensieri di una comunità civile, cioè l’infanzia.
Se percepiamo appieno la gravità di aver inquinato fin anche il latte materno, non è più di consolazione sapere che determinati valori sono “nella media”: essere contaminati nella media o ammalati nella media o morti nella media non risparmia sofferenza e dolore e soprattutto non consola quando si prende consapevolezza che questa “media” è superiore a quanto sarebbe tollerabile o raccomandabile, non a causa di eventi ineluttabili, ma di scelte operate deliberatamente.
Il proverbiale “mal comune” deve cessare di essere considerato “mezzo gaudio” e deve viceversa diventare lo stimolo ad unire le forze per trasformarlo in “bene comune”.
Da tutto questo non può che conseguirne, specie per i medici e per tutti coloro che hanno responsabilità decisionali, l’impegno ad adottare immediate e concrete soluzioni, già oggi disponibili, che evitino in ogni modo la combustione di rifiuti e che portino alla completa inertizzazione dei materiali pericolosi.
Bisogna contemporaneamente agire e studiare: se da un lato il problema della contaminazione del latte materno va approfondito con rigore in tutti i suoi aspetti, dall’altro bisogna già da subito evitare di aggravarlo, bandendo pratiche assurde quali quelle dell’incenerimento dei rifiuti, di biomasse e quant’altro.
Per nessuna donna al mondo può esser accettabile anche solo l’idea di trasmettere al bimbo a cui ha dato la Vita, attraverso il proprio latte, pericolosi veleni. La consapevolezza che questo, purtroppo, è invece ciò che accade, non può non risvegliare le donne da un torpore durato già troppo a lungo, spingendole a riprendersi il diritto di trasmettere vita e non veleni alle proprie creature!
Bibliografia:
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2. A. Baccarelli Neonatal Thyroid function in Seveso 25 years after maternal exposure to dioxin PLos Medicine (2008) www.plosmedicine.org 1133-1142
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9. Wang S.L. et al. Infant exposure ti polychlorinated dibenzo-p-dioxin, dibenzofurans and biphenyls (PCDD/Fs, PCBs)- correlation between prenatal and postnatal exposure. Chemosphere (2004) 54, 1459-1473
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11. Wittsiepe J. et al. PCDD/F and dioxin-like PCB in human blood and milk from German mothers. al.,Chemosphere, (2007) 67(9): 286-94
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13. Li J, Zhang L et al. A national survey of polychlorinated dioxins, furans (PCDD/Fs) and dioxin-like polychlorinated biphenyls (dl-PCBs) in human milk in China . Chemosphere. (2009) 75(9):1236-42.
14. http://www.hcmagazine.it/autoimg/35.jpg
15. L. T. Baldassarri PCDD/F and PCB in human serum of differently exposed population of an italian city Chemosphere 73 (2008) 5228-34
..spero però che questa notizia non crei nelle mamme (già poco sostenute e incoraggiate) un'ulteriore sfiducia nell'allattamento e quindi un ulteriore incentivo per l'utilizzo del latte artificiale...altrimenti va a finire che gli inceneritori continuano ad inquinare facendo aumentare i guadagni alle multinazionali del latte artiiciale! Un bel circolo vizioso!