Crisi finanziaria, crescita bulimica e decrescita felice

Il mondo è "in crisi". Le borse crollano, le banche chiudono, i capitali sfumano. E i politici si affannano a cercare soluzioni in grado di far ripartire la "crescita". E non si rendono conto che questo modello è ormai esaurito e che si va verso una decrescita che potrà essere catastrofica o "felice" a seconda di come noi la affronteremo.

CONDIVIDI: Condividi su Facebook Condividi su Ok Notizie Condividi su Fai Informazione Condividi su del.icio.us Condividi su Twitter Condividi su Digg Condividi su Technorati Condividi su Google

di Marco Cedolin


La crisi finanziaria che ha impetuosamente valicato i confini degli Stati Uniti, sta ormai imperversando in Europa e in Asia in un crescendo infernale fatto di banche che falliscono, istituti di credito che vengono nazionalizzati per evitarne il crollo imminente, borse che crollano a picco, stati che tentano di mettere a punto piani di salvataggio del sistema bancario consistenti in centinaia di miliardi di euro di denaro pubblico da gettare fra le fauci spalancate di quella belva insaziabile che è la finanza internazionale.

Tutto il circo dell’informazione è impegnato nel seguire l’evolversi della crisi, con l’ausilio di stuoli di esperti ed economisti pronti a rendersi interpreti di complicate analisi tecniche concernenti la situazione attuale, le supposte colpe pregresse e le soluzioni più gettonate, finalizzate ad uscire dalla crisi per poi tornare tutti a vivere “felici e contenti” come prima.

Si discute riguardo alle colpe di un turbo-capitalismo troppo spregiudicato, ci si rammarica per l’eccessiva fiducia riposta nella “mano invisibile del mercato”, si rimbrotta contro gli speculatori senza scrupoli, si stigmatizza un troppo disinvolto approccio con i pericoli della globalizzazione, si invoca una stagione ventura all’insegna di regole ferree, si auspicano gli interventi statali là dove per molti decenni l’unica parola d’ordine è stata “privatizzare”.

Ma davvero il crollo finanziario rappresenta il maggiore problema con il quale siamo chiamati a confrontarci e una volta “rimesse in piedi” artificialmente le banche (ammesso che ci si riesca) attraverso l’iniezione di migliaia di miliardi di denaro pubblico, tutto tornerà come prima e ricominceremo a consumare in maniera bulimica come se non fosse accaduto nulla?

La realtà è molto differente da quella che la classe dirigente occidentale sta tentando affannosamente di veicolare nell’immaginario collettivo. La crisi finanziaria rappresenta infatti solamente la punta di un iceberg di ben maggiori dimensioni, costituito dall’intero modello di sviluppo basato sulla crescita infinita, un modello economico e sociale che dopo avere “colonizzato” il 900 sta mortalmente collassando, posto di fronte all’impossibilità di crescere indefinitamente all’interno di un mondo dove tutto è finito e nulla può nutrire la presunzione di continuare a crescere senza sosta.

Da quasi due decenni (e negli ultimi anni in maniera più marcata) la società occidentale ha smesso di “crescere” nonostante abbia continuato a fondarsi su un modello economico e sociale anacronistico basato esclusivamente sulla crescita.

Il potere di acquisto di salari e pensioni risulta da tempo in caduta libera, le imprese che ancora non hanno delocalizzato la propria produzione nei paesi a basso costo di manodopera chiudono i battenti lasciando dietro di sé una lunga scia di disoccupati, i piani di programmazione industriale delle aziende pubbliche e private prevedono a breve termine il licenziamento di buona parte degli occupati. Diminuisce il numero delle persone in grado di percepire un reddito, diminuisce la capacità economica delle famiglie e di conseguenza disuniscono i consumi. Perfino negli Stati Uniti “patria del benessere economico” e da tempo immemorabile faro illuminante della nostra politica economica, le tendopoli create dai cittadini che hanno perso la casa non essendo più in grado di pagare il mutuo, stanno sorgendo come funghi a “popolare” le periferie delle grandi città.

Occorre al più presto ripensare un modello di sviluppo che ha ormai mostrato tutti i suoi limiti (che collidono con quelli del pianeta e delle sue risorse) e tentare di costruire una decrescita felice laddove si sta invece prefigurando una recessione catastrofica.

Occorre guardare ad una società moderna a misura di comunità e territorio che sappia riscoprire la centralità della persona e dei suoi bisogni reali, liberata dall’ossessione dell’economicismo, che non si proponga l’eliminazione dell’economia ma la sua reintroduzione all’interno del tessuto sociale, abbattendone il dominio assoluto su ogni aspetto della vita, che non rifiuti la tecnologia ma semplicemente ne condanni l’uso distruttivo messo in atto dal sistema della crescita.

Una società che si proponga di riscoprire la qualità della vita, i rapporti col prossimo, lo spirito della convivialità, l’autoproduzione, il dono, la reciprocità.

La scelta della decrescita è un’alternativa che passa attraverso una riduzione di scala, una cultura di empatia con l’ambiente e la natura, l’acquisizione di un nuovo senso del limite e delle proporzioni che sappia riscoprire come “piccolo è bello” e sia in grado di usare le risorse energetiche con raziocinio e in maniera costruttiva.


Una scelta che intende riscoprire il senso del lavoro, inteso come possibilità di valorizzazione delle proprie qualità e non come imposizione meccanica alienante, riscoprire le identità culturali ed i rapporti con il territorio in cui si vive, come risposta all’appiattimento sociale e culturale imposto dalla globalizzazione e dal gigantismo. Intende creare i presupposti per un nuovo tipo di relazione fra abitanti, produttori e territorio, che sia in grado di determinare equilibri durevoli fra insediamento umano ed ambiente, introiettando la sapienza ambientale storica all’interno del nuovo bagaglio di usi, saperi e tecnologie.

A prescindere da quale sarà la sorte delle banche e dell’intero sistema finanziario, tutto non tornerà comunque come prima, sta solo a noi scegliere fra il salto nel vuoto della recessione selvaggia o il dolce declivio della decrescita e dimostrare che dai nostri errori abbiamo in fondo imparato qualcosa.

9 Ottobre 2008 - Scrivi un commento
Ti � piaciuto questo articolo? Cosa aspetti, iscriviti alla nostra newsletter!

E-mail
Arianna Editrice
Macro Credit
Mappa Mondo Nuovo
PAROLE CHIAVE
LIBRI CONSIGLIATI
La decrescita felice

I segnali sulla necessità di rivedere il parametro della crescita su cui si fondano le società industriali...
Continua...
Adesso Basta

Un lavoro, una carriera manageriale invidiabile già a soli 30 anni, una casa di lusso, la possibilità di...
Continua...
L'Insostenibile Leggerezza dell'Avere

In un passato anche recente molti preannunciarono che il sistema economico e il modello di sviluppo del mondo...
Continua...
La Scommessa della Decrescita

Il termine "decrescita" suona come una scommessa o una provocazione, nonostante la generale consapevolezza...
Continua...
La Felicità Sostenibile

Ii modello economico, sociale e politico dominante sta crollando sotto i colpi della crisi finanziaria...
Continua...
Ritorno al Passato

I giacimenti di petrolio si stanno rapidamente esaurendo. quali saranno le conseguenze di questo accadimento...
Continua...
Decrescita e Migrazioni

Un sistema economico fondato sulla crescita del prodotto interno lordo deve aumentare in continuazione il...
Continua...
Un Programma Politico per la Decrescita

Il movimento per la decrescita felice si propone di mettere in rete le esperienze di persone e gruppi che...
Continua...
ULTIMI ARTICOLI PUBBLICATI
LINK ESTERNI
TERRANAUTA TV
Cohousing a Castel Merlino
Altri video su TERRANAUTA TV...
ARTICOLI CORRELATI
ULTIMI COMMENTI
gian_paolo ha commentato l'articolo Nucleare e salute, un'altra ragione per dire no
carlo ha commentato l'articolo Quel che resta del Polo
linda maggiori ha commentato l'articolo Latte materno, diossine e Pcb
Simone ha commentato l'articolo Prahlad Jani, l'asceta che si autoalimenta da 74 anni
grazia ha commentato l'articolo Orti urbani: sostenibilità e socialità