Il 12 settembre Gesualdi era presente a Bologna, presso il bellissimo complesso di Vicolo Bolognetti, per presentare nell’ambito della rassegna Sole e Vento Festival il libro appena uscito di cui è autore, L’altra via, l’ultimo di una lunga serie di lavori incentrati su importanti tematiche politico-sociali come Guida al consumo critico, Il mercante d’acqua e Sobrietà.
L’argomento centrale del libro è di estrema attualità: analizzando la crisi attuale, sistemica, generata da mutamenti irreversibili provocati da un modello costantemente orientato allo sviluppo, l’autore denuncia con forza la necessità di proporre un sistema alternativo in cui crescita non sia più la parola d’ordine che regola l’economia, la società, lo sviluppo energetico, addirittura la disciplina dei diritti sociali e umani.
Con un realismo che raramente anima molti dei sostenitori di questa posizione, Gesualdi ritiene importante ma non definitivo il ricorso alle “buone pratiche”, a piccoli o grandi azioni che però, se non inserite in un generale mutamento di prospettive, possono solo contribuire a limitare i danni. L’auto-produzione – il fai da te, come la definisce lui – è certamente una buona pratica, ma non è in grado di reggere un intero sistema, se non viene affiancata da una realtà produttiva organizzata.
I bisogni appartengono indiscutibilmente alla sfera pubblica, soprattutto i bisogni fondamentali, poiché possono essere ascritti alla categoria dei diritti, che vanno obbligatoriamente garantiti a tutti. L’acqua è senza dubbio un bisogno – quindi un diritto – e, in quanto tale, deve essere liberamente accessibile a tutti, quindi fornita da un servizio pubblico, non esclusivo. L’automobile, che può essere considerata tutto al più un “bisogno superfluo”, si può tranquillamente affidare alla sfera privata.
Un ruolo determinante in questa partita è giocato dal mercato, paragonato da Gesualdi a una “grande macchina” che può produrre e concedere di tutto, a patto però che il compratore abbia in tasca i soldi per pagare. In questo senso il mercato può essere considerato “classista”, poiché effettua una separazione a monte che ammette i ricchi mentre estromette i poveri. Proprio per questa ragione, i diritti devono appartenere alla comunità organizzata, la quale deve ovviamente adottare metodi e modalità differenti e anzi antitetiche a quelle del mercato. I diritti devono essere prioritariamente garantiti a tutti, dopodiché si può prendere in considerazione l’accesso agli optionals, i beni superflui.
Ritornando al tema centrale del libro, un problema che si pone Gesualdi è quello di far funzionare la macchina pubblica senza che l’economia debba crescere, ripetendo così il peccato originale del modello economico attuale. Una soluzione pratica che, coerentemente con il suo approccio realistico e funzionale, l’autore propone è quella di modificare il sistema tributario: dalla tassazione del reddito si deve passare alla tassazione del tempo. Questa proposta, se letta con gli schemi mentali che caratterizzano la nostra economia basata sul produttivismo e sulla moneta, può sembrare assurda ma, a ben vedere, non è il denaro – mero mezzo di scambio – che costituisce la vera ricchezza, bensì la natura e il lavoro, misurabili con il tempo.
Invece di comprare i servizi col denaro ricavato dalle tasse che pagano i cittadini, sarebbe più logico e funzionale richiedere ai cittadini stessi di fornire dei servizi. In fondo questo succede già ed è esattamente la pratica che anima da più di vent’anni le Banche del Tempo, dove addebiti e accrediti non interessano il denaro ma il tempo stesso.
Il problema fondamentale di oggi è che non c’è un progetto, la cui realizzazione dovrebbe essere invece il punto di partenza per cambiare il modello socio-economico attuale. E per questo Gesualdi se la prende particolarmente con i partiti della sinistra, rappresentanti di un’area politica tradizionalmente vicina alle sensibilità che questo progetto dovrebbero costituirlo e animarlo ma oggi completamente a corto di idee.
A questo punto non abbiamo più scelta: le idee dobbiamo cominciare a tirarle fuori noi – la comunità organizzata, i movimenti, le realtà sociali, culturali e associative –; dobbiamo cominciare a giocare un ruolo politico, alto, determinante. Il primo passo in questa direzione lo fa proprio Gesualdi, avanzando una proposta concreta che riprende il precedente ragionamento della tassazione del tempo: perché non istituire un servizio civile obbligatorio, un periodo durante il quale giovani e non si mettano a disposizione della comunità per fornire quei bisogni fondamentali che ora vengono così faticosamente garantiti?
Nel concludere la presentazione del suo libro, Gesualdi ribadisce che è fondamentale, per riempire il vuoto lasciato da chi ci rappresenta, recuperare un lavoro “di pensiero”, capace di interpretare, criticare, rielaborare e correggere. Proprio la strada che indica chiaramente L’altra via.
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