Mentre le pedalate sembrano alimentare anche i miei pensieri, giungo al bivio per Bollate. Ancora cinque minuti e sarò alla cascina. Nelle borse sistemate a cavallo della ruota posteriore ci sono sei bottiglie di vetro. Le uso ormai da un paio di anni per trasportare il latte che l'azienda agricola “Furia” mi vende alla spina, direttamente senza intermediari. Sono sempre le stesse, lavate e riusate qualche centinaio di volte. Due anni di rifiuti evitati. Ecco, dopo la curva c'è il sottopasso e poi sono arrivato.
Lego la bici alla cancellata: siamo ancora troppo vicini a Milano, meglio non fidarsi. Il mio velocipede si trova sotto una bandiera gialla della Coldiretti che sembra indicare un presidio di “resistenza contadina” al globale che avanza. A quando, mi chiedo, il latte fresco cinese? Entro nella casetta di legno che i signori Fortini hanno costruito per metterci i distributori automatici di latte crudo alla spina. Fino all'anno scorso avevano un solo distributore. Adesso ne hanno due e quando vengo a prendere il latte c'è sempre qualche altro cliente prima di me.
Già che ci sono compro anche delle uova fresche di giornata. Sono di dimensione e colore diverso e mi chiedo come facciano al supermercato a vendere uova tutte perfettamente uguali. Per ridurre i costi e aumentare i profitti avranno standardizzato anche i culi delle galline?
Riparto per tornare a casa. Venti minuti e sono in cortile a legare di nuovo la bici alla rastrelliera. Questa volta niente bandiere. Il tessuto urbano non resiste al globale che avanza, anzi, vengo raggiunto dalla palla della bimba sudamericana che gioca da sola in cortile. Penso alla sua famiglia sradicata dalla propria terra e catapultata in qualche impresa di pulizia a fare uno di quei lavori “che gli italiani non vogliono più fare”. Forse perchè precarizzati, sfruttati e sottopagati?
Bando ai cattivi pensieri. Sono contento e sorrido alla inconsapevole bimba. Anche oggi ho risparmiato i soldi della palestra, che qui a Milano si chiama “Fitness club”, costa “un botto” e richiede fisico ed abbigliamento adeguati nonchè una certa predisposizione ad ingurgitare acqua colorata “per reintegrare i sali minerali”.
Sono le 19:00, metto su la pentola, e verso quattro dei sei litri di latte che ho comprato e accendo il fuoco. D'estate ho circa cinque minuti di tempo prima che il latte raggiunga i trentasette gradi. Ne approfitto per mettermi comodo e bere un po' di succo di mela fatto in casa che ci hanno regalato alcuni amici di Trento. Scambio qualche parola con Emanuela che sta finendo di cucire una gonna. Il gatto che sonnecchia, come sempre sul divano, apre un occhio per scrutarci quasi come per assicurarsi che tutto vada bene, poi subito lo richiude. Ritorno alla pentola, controllo la temperatura del latte con il termometro ad alcool: ci siamo. Verso il caglio e dò una mescolata.
Lascio riposare il panetto di pastafrolla e torno alla pentola con il latte, che ora ha la consistenza di un budino. Rompo la cagliata con una frusta da cucina, con un colino la separo dal siero e la verso nelle fuscelle. In un paio di formette più piccole aggiungo del peperoncino per fare dei tomini più sfiziosi. Lascio sgocciolare il formaggio fresco nelle fuscelle e torno alla mia pastafrolla.
Taglio via un pezzo dal panetto, lo stendo, ritaglio i biscotti che posiziono in una teglia imburrata e con la parte restante ci faccio la base della crostata che preparo con la marmellata fatta in casa regalatami da un giovane e simpaticissino assessore di un paesino in provincia di Bologna. Anche lui, convinto autoproduttore, per qualche anno ha vissuto in un casolare senza riscaldamento sul Muggello. Guarnisco la crostata con delle fette di mela. Utilizzo una delle mele acquistate tramite gruppo d'acquisto da una cooperativa di giovani contadini biologici di Novara che ha recuperato diverse varietà destinate all'estinzione dall'agricoltura industrializzata e votata alla monocoltura. Tra queste c'è anche una straordinaria varietà di mele di origini celtiche.
Per autoprodurre parte del nostro cibo impieghiamo meno di un pomeriggio passato in un centro commerciale e spendiamo un terzo dei soldi necessari per comprare merci analoghe di peggiore qualità.
Sono da poco passate le 20:00, inforno i prodotti che serviranno per la prima colazione di una settimana intera e passo all'impasto del pane. Stasera sono pigro. Userò l'impastatrice elettrica al posto delle braccia e il lievito di birra al posto di quello naturale: ci verso circa mezzo litro d'acqua tiepida, il lievito di birra preventivamente sciolto in una parte dell'acqua, la farina e, in alto, distante dal lievito altrimenti blocca la fermentazione, un po' di sale. Avvio la macchina e mi riposo un po'. Nel frattempo Emanuela, ha finito di cucire la cerniera alla gonna, ha preparato la cena e ha messo mezzo litro di latte nella yogurtiera con un po' di yogurt tenuto da parte dalla precedente “produzione”. Durante la notte qualche milione di fermenti lattici lavorerà per noi e a colazione nei prossimi giorni avremo anche dell'ottimo yogurt sano, economico ed ecologico.
Prima di sedermi a tavola tiro fuori dal forno biscotti e crostata. La casa si è riempita del profumo della pastafrolla fatta con lo strutto e la ricetta di mamma. Dopo cena tiro fuori l'impasto del pane dalla macchina e lo metto a riposare in una grande ciotola coperta da uno straccio umido. Lo cuocerò domattina, con calma, in modo che possa lievitare bene.
È ancora presto ed è una bella sera d'estate. Usciamo a bere una birra con degli amici. Come fanno tanti altri milanesi il sabato sera.
13 Aprile 2009 - Scrivi un commento
Devo dire che sta cominciando a diventare più stressante che lavorare. Ma mi dà soddisfazione. Risparmio tutto sommato neanche troppo.
Comunque non te l tirare troppo, da quattro litri di latte di mucca tirerai fuori, grasso che cola, 2 etti di formaggio...
Andrea scripsit.