L’Onu ha calcolato che ogni anno si producono 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici in tutto il mondo, ovvero più del 5% di tutti i rifiuti solidi urbani prodotti nell’intero pianeta. Da più parti si è sentito dire che quello che è vecchio qui da noi, nell’opulento occidente, in realtà è innovativo in Africa; quello che dalle nostre parti è inutilizzabile, si trasforma in risorsa preziosa nel continente nero.
Allora ci si è organizzati mandando lì tutto quello che era superato qui, sottolineando che il tutto era una grossa manovra di beneficenza per aiutare lo sviluppo tecnologico del Continente. Come ogni truffa che si rispetti, è andata a finire che l’Africa è stata trasformata nella più grande discarica di computer a cielo aperto del Pianeta, perché smaltirli in Europa costerebbe più del doppio che caricarli sui mercantili e scaricarli in Africa.
Claire Snow, Direttore dell’Industry Council for Equipment Recycling (ICER), riassume così la situazione: “Con il pretesto del reimpiego, le apparecchiature evidentemente non riciclabili in alcun modo in realtà sono smaltite nei Paesi in via di sviluppo”. I Paesi sviluppati, insomma, scaricano sull’Africa le tensioni prodotte da quelli che sono i problemi industriali e sociali del loro modello di sviluppo, trasformando le contraddizioni che lo caratterizzano, ovvero l’evoluzione tecnologica continua ed il consumismo esasperato, nell’ennesimo problema di salute per i bambini africani.
Per cosa? Per rivendere quello che ricavano a due dollari ogni cinque chili di materiale. Il commercio degli ultimi, divorati da tumori aggressivi e, ancora una volta, dal progresso dei ricchi. Dentro un tubo catodico si possono trovare due chili e mezzo circa di piombo, che contiene tossine dannose per i reni e per l’apparato riproduttivo; ma anche bario, che attacca lo stomaco e può causare problemi respiratori; il mercurio presente nei circuiti stampati e negli interruttori può provocare danni al cervello e ai reni; alcuni rivestimenti anti-corrosione sono cancerogeni. E così via.
Dai campioni prelevati da Greenpeace dalle discariche è risultata la presenza di vari metalli tra cui piombo (trovato in quantità cento volte superiore alla normale concentrazione nel suolo), cadmio, antimonio e composti organici a base di cloro e bromo, per non parlare di quelle sostanze che si sprigionano dalla plastica bruciata come le diossine.
Il Ghana, appunto, con le sue discariche abusive, offre uno spettacolo apocalittico, come si nota da un video proposto dalla BBC.
Le conseguenze dello smaltimento, sostiene Anane, riguardano tanto i bambini che lavorano nelle discariche colpiti, come si è detto, dalle conseguenze delle intossicazioni cui sono esposti, quanto l’ambiente circostante le discariche. Queste ultime, infatti, si trovano adiacenti a due importanti bacini d’acqua, una laguna ed un fiume. Entrambi sono biologicamente morti per via delle scocche dei computer e delle componenti interne che ci finiscono dentro scaricati direttamente da chi li smonta. Le piogge fanno il resto: trascinano nella laguna e nel fiume tutti i liquami tossici spurgati dal materiale elettronico così che ormai in quelle acque non esistono più né pesci né altri organismi viventi. Non solo, gli stessi liquami tossici si infiltrano nel suolo fino ad arrivare alle falde acquifere e da lì agli stessi bacini.
E in Occidente? In Occidente si è tentato di introdurre alcune normative per limitare l’utilizzo di sostanze pericolose impiegate nei prodotti tecnologici e che regolino lo smaltimento dei rifiuti prodotti. Tuttavia, per quanto in materia l’Unione Europea sia molto restrittiva, del 75% dei rifiuti prodotti si perdono letteralmente le tracce, salvo poi ritrovarli, illegalmente, in quei Paesi nei quali non esistono leggi al riguardo.
Dall’Unione Europea arrivano alcune direttive come la Waste Electrical and Electronic Equipment (WEEE), sulla rottamazione di materiale elettrico ed elettronico, e la Restriction of Hazardous Substances (RoHS) che punta alla riduzione nell’utilizzo di sostanze nocive per la produzione di materiale elettrico ed elettronico e promuove la raccolta ed il riciclo dello stesso.
In quanto direttive, non hanno alcun valore di legge, ma devono essere recepite da ogni singolo Stato membro adottando le politiche appropriate di attuazione. Così è stato, ad esempio, in Germania nella quale però continuano a sfuggire alle maglie dei controlli circa 100 mila tonnellate di rifiuti che vengono imbarcati e spediti verso l’Africa spacciandoli per strumentazioni ancora funzionanti.
Paola Ficco, giurista ambientale, afferma che pur essendo le normative sullo smaltimento di Raee molto stringenti, dal momento che il materiale può essere spedito solo dove esistono strutture recettive in grado di smaltirlo correttamente, i controlli doganali possono essere facilmente aggirati spacciando i carichi non come rifiuti ma come apparecchiatura usata.
Dall’altro lato, sponda Nigeria, un’altra testimonianza arriva da Igwe Chenadu, Presidente dell’Associazione dei Tecnici di Alaba, il mercato dell’elettronica presente a Lagos, mediamente 250 apparecchi sui 600-700 contenuti in un container non funzionano; 80-90 possono essere riparati, mentre il resto viene gettato via. Il materiale senza speranza di essere recuperato è una piccola ricchezza per i disperati, soprattutto bambini e ragazzi che, inconsapevoli degli enormi rischi per la salute impliciti in questo tipo di operazioni, li trattano in modo da estrarre materie prime da rivendere.
Ancora una volta, nelle pieghe più nascoste del sistema economico che ci rende così confortevole la vita si scopre un teatro di miseria che rende insopportabile il fatto che la nostra playstation, il nostro computer, le nostre Tv che da questo lato del mondo intrattengono i nostri interessi e divertimenti dall’altro lato del pianeta si trasformano in armi di distruzione di massa.
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