In quest’occasione i Paesi africani, presentatisi per la prima volta con una posizione comune, hanno rivolto al resto del mondo una richiesta d’aiuto per poter fronteggiare gli effetti del riscaldamento globale.
“Facciamo tutti parte dello stesso pianeta, esiste dunque un dovere di solidarietà che permetta ai paesi più vulnerabili, noi altri, di condurre delle politiche di adattamento ai cambiamenti climatici”, ha sottolineato Salifou Sawadogo, presidente del comitato organizzatore del Forum. L’appello è rivolto, in particolare, agli Stati “che hanno costruito il loro sviluppo economico a scapito dell’ambiente”.
Secondo quanto riportato nella dichiarazione finale approvata al termine del vertice, i capi di Stato e di governo africani chiedono alle altre nazioni di aiutare l’Africa sia mantenendo gli obblighi del Protocollo di Kyoto (soprattutto per gli impegni di riduzione delle emissioni di gas serra) sia offrendo il loro sostegno “per potersi adattare ai cambiamenti climatici, per attenuarne i rischi, per beneficiare del trasferimento di tecnologie, per rafforzare le loro capacità di sopravvivenza attraverso progetti ed azioni concrete sul terreno”.
Il tragico paradosso sta proprio nel fatto che a pagare le conseguenze più devastanti del global warming non sono i Paesi che lo hanno provocato ma proprio l’Africa “che non è mai stata responsabile in passato per il rilascio in atmosfera dei gas che hanno alterato il clima, perché – evidenzia Molteno – le attività industriali qui sono sempre state ridotte”.
A lanciare l’allarme sui drammatici effetti dei cambiamenti climatici è il dossier “Stand up 2009: uniti contro la povertà e i cambiamenti climatici”, curato dalla Campagna del millennio, dalla Caritas italiana, dall’Unione sport per tutti e dal Wwf.
I disastri naturali, si legge nel rapporto, sono quadruplicati negli ultimi 20 anni, passando dai circa 129 all’anno negli anni ‘80 ai 500 all’anno di oggi. Il 94% di tali disastri ha riguardato proprio i Paesi in via dei sviluppo.
Inquietanti, poi, le prospettive per il futuro: in assenza di un’inversione di tendenza, entro il 2100 il Bangladesh si ritroverà con 35 milioni di sfollati a causa dell’innalzamento del livello del mare, nel 2025 in Africa ed in Asia quasi due miliardi di persone soffriranno la sete mentre, entro il 2080, 600 milioni di persone patiranno la fame.
Devastanti saranno anche le ripercussioni sull’agricoltura: l’aumento della temperatura terrestre, infatti, potrebbe provocare un crollo del 50% della produzione agricola in alcuni Paesi poveri.
Alluvioni, siccità, scarsità d’acqua, fame, incremento delle malattie, migrazione dei “profughi ambientali”: esiste un modo per evitare tutto questo?
Secondo il dossier, l’investimento annuo dell'1% del Pil mondiale potrebbe essere sufficiente a fermare il cambiamento climatico. È necessario “concordare un regime climatico forte e vincolante a partire dal 2012” per far sì che entro il 2050 le emissioni globali vengano tagliate di almeno ‘80% rispetto ai livelli del 1990.
Ovviamente, come ha ricordato il presidente del Burkina Faso in occasione del Forum mondiale sullo sviluppo sostenibile, “i più grandi inquinatori hanno responsabilità diverse da quelle dell’Africa”.
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