Così, sentendo il profumo di nuovi fruttuosi investimenti, un esercito di uomini d'affari d'ogni risma, dismesso il doppiopetto e abbassata la pinna dorsale, si è calata nei più confortevoli panni dell'ambientalista e si è votata all'oracolo delle energie rinnovabili, iniziando a predicare l'eco sostenibilità e l'amore per la natura.
Ad impedirci di gioire di questa improvvisa illuminazione di massa, come sempre avviene quando le azioni dell'uomo sono dettate dal mero interesse economico privo di una reale coscienza ecologica, sorgono più di un problema. Lo sanno bene alla Segreteria Nazionale dell'associazione “Stop al Consumo del Territorio”, dove ormai da mesi sono bombardati quotidianamente da messaggi che denunciano che appezzamenti di terra sempre più grandi sono sottratti all'agricoltura, o al rigoglio della natura, per lasciar spazio a grandi impianti per l'energia alternativa; campi di grano o di patate trasformati in veri e propri campi di pannelli fotovoltaici.
E allora cosa fare? Opporsi ai business man in verde è tutt'altro che semplice, e d'altra parte non si può certo bloccare lo sviluppo di un settore tanto importante per gli anni a venire come quello del fotovoltaico. Ma il problema esiste, eccome. Si calcola che per soddisfare il fabbisogno energetico italiano, che ad oggi si aggira intorno ai 340 miliardi di Kwh all'anno, sarebbero necessari 1.861 kmq di pannelli. Significherebbe tappezzare di specchi lo 0,6 per cento dell'intera superficie nazionale, l'1,4 dei terreni agricoli: una follia.
Le soluzioni non mancano. In Germania ad esempio, paese leader mondiale nel campo delle energie rinnovabili, gli impianti sono spesso posizionati sopra i tetti dei grandi magazzini e degli edifici industriali, o comunque in zone già edificate. Altra soluzione, forse ancora più intelligente, è quella di incentivare gli impianti “familiari”, piuttosto che i complessi industriali. Per dirla con Beppe Grillo, “non c'è bisogno di una centrale che produca 1 milione di Kwh, ma di un milione di cittadini che ne producano uno ciascuno”.
Sul sito è anche disponibile una bozza di delibera che andrebbe successivamente presentata presso il consiglio comunale. Per quanto riguarda la comunicazione della campagna, oltre ad uno spazio riservato sul sito nazionale dell'associazione, ogni gruppo è tenuto a promuoverla presso gli Enti Locali ed i media nazionali e locali. La speranza degli organizzatori è che venga aperto un “dibattito culturale in tutto il paese”. Che se ne parli, insomma. Sarebbe un buon inizio.
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