Un giorno gli alberi sono stati tutti tagliati, sradicati dalla terra. Vedere le radici rivolte verso il cielo era uno spettacolo orribile. Il giorno dopo l'area è stata tutta recintata. Oggi sono passati quasi due anni e dal mio balcone non vedo più le montagne, ma solo sei palazzine in fase di conclusione (ne avranno per altri 6 mesi circa), la mattina alcuni anziani vengono a curiosare l'avanzamento dei lavori ma si fermano poco, di cani non se ne vedono più e la compagnia di ragazzi si è ovviamente spostata.
In provincia di Milano il verde è una cosa rara e lo sta diventando sempre di più. Nella cittadina in cui vivo il prato davanti a casa mia non è l'unico ad essere stato destinato ad edificazione, poco lontano sta praticamente sorgendo un nuovo quartiere, quanti siano gli edifici non lo so, ma sono davvero tanti. L'orizzonte è ormai un privilegio destinato a pochi padroni di attici all'ultimo piano.
La piaga del consumo del territorio non è però un problema della sola Provincia di Milano dove il Ligresti di turno fa il bello e il cattivo tempo, è un problema dell'intera Lombardia e di tutto il centro e nord Italia. In Emilia, in quella zona definitia "food valley" in cui si producono alimentari di alta qualità, la cementificazione è un fenomeno assurdamente in continua espansione. Capannoni e nuovi fabbricati sorgono ovunque erodendo e minacciando quella stessa terra che dà lavoro e cibo a chi la abita. Su questo tema Nicola dall'Olio, geologo e membro di ASPO-Italia, ha diretto un documentario dal titolo Il suolo minacciato che riassume e analizza molto bene la problematica. "E' un documentario che ti fa venire voglia di gridare" dice Ugo Bardi sul Risorse, Economia e Ambiente, il blog di ASPO-Italia.
Gridare per lo shock di una devastazione senza senso ci viene da pensare. Da almeno due anni il mercato dell'immobile è fermo e paradossalmente sembra invece che si moltiplichino le nuove costruzioni, casermoni vuoti destinati a rimanere in gran parte invenduti per anni. Sì perché i prezzi sono alle stelle, il lavoro è precario e se la crisi ha risparmiato i ceti più agiati, ha invece colpito in modo impietoso la massa.
"Il problema è culturale" dice Bardi e crediamo abbia ragione. Il territorio è finito, sfruttarlo oltre vuol dire sottoporsi a un rischio idrogeologico non sostenibile, con conseguenze - dove il terreno lo rende possibile - simili a quelle di Messina, ma non solo. Chi vi ridarà le montagne quando un palazzo ve le coprirà, chi vi ridarà i salami dal gusto che tutto il mondo ci invidia e il granoturco color oro quando l'ennesima cascina e l'ennesimo campo saranno espropriati per l'ennesima tangenziale e l'ennesimo condominio?
Bisogna cambiare prospettiva, bisogna tornare ad immaginare il futuro. Non bastano due pannelli solari per prendere le sovvenzioni statali, non bastano le case ecologiche che comunque mangiano territorio, è ora di cambiare paradigma e farlo in fretta finché, ancora, ne abbiamo le possibilità.
Grandi Opere
Le grandi opere sono il simbolo di un mondo antiquato, corrotto e cadente: sono superate e inutili per chi... Continua... |