Agnello a Pasqua: è davvero indispensabile?
La nostra è una strana società, tra quello che siamo e quello che mangiamo spesso c’è un vuoto incolmabile, e quasi mai siamo consapevoli dei processi alla base di quello che mettiamo sulle nostre tavole. Forse cambiando testa e anche menù, si acquisterebbe salute nel corpo e nello spirito.
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di Daniela Mazzoli
Sarebbe un
bell’atto di civiltà se la smettessimo con questa storia di mangiare l’agnello a Pasqua. Le persone, quasi tutte, mangiano anche altra carne durante tutto il corso dell’anno: bovini, suini, polli. Dunque si uccidono animali per soddisfare il fabbisogno alimentare in grandissime quantità e nei modi meno sopportabili.
Però far nascere qualcuno solo per ucciderlo è una crudeltà, punto e basta. Questi poveri cuccioli vivono appena un mese. Alcuni vengono addirittura tenuti al buio, chiusi in piccole tinozze per farli ingrassare meglio e mantenerne la carne tenera. Il gusto dell’agnello piace perché non è forte come quello della pecora; piace perché, non essendosi ancora nutrito d’erba ma di semplice latte le sue carni conservano un sapore delicato.
La civiltà contadina, più abituata a vivere con gli animali, non subiva lo choc di dover uccidere -sgozzandoli- agnelli che avevano da poco cominciato a stare sulle proprie zampe. Rientrava nell’idea, comunque discutibile, che la natura e le tradizioni fossero d’accordo nella conservazione dell’usanza. Viene da lontano la consuetudine di uccidere l’agnello per la Pasqua, lo sanno gli ebrei e anche i cristiani. Ma oggi bisognerebbe in coscienza riconoscere che ben poco è rimasto di quelle giustificazioni.
Si mangia l’agnello per abitudine, perché
se lo aspettano i nonni, i mariti, i parenti vari, perché una festa come quella di domenica senza l’agnello non sembra la stessa. La festa si sente solo così, mangiando, nel rispetto del menù. Ci si contenta così,
stordendosi nel cibo, quello che non segue a estenuanti digiuni religiosi, quello che ci vede già sazi, da sempre, anche prima di sederci di nuovo a tavola. La carne d’agnello, servita con le patate e rosolata poi, irriconoscibile nella sua frammentazione, fa dimenticare l’atroce strage che si consuma nei macelli. Non so se si riuscirebbe, oggi, noi così sensibili ed educati, a mangiarne con altrettanta leggerezza se solo potessimo assisterne al massacro.
Ci vogliono 3 minuti perché, una volta sgozzati, il sangue defluisca completamente dal loro corpo: tre minuti preceduti dall’attesa assai più lunga di essere uccisi. La legge prevede che siano storditi prima della morte, carità pelosa. Molte sono, comunque,
le violazioni alle pur minime norme in merito di maltrattamento animale. Gran parte degli agnelli, importati da Ungheria e Romania, viene sottoposta a viaggi estenuanti in enormi tir che costringono le povere bestie a condizioni di orribile sofferenza. Sarebbe un bel segnale di vita,
visto che Pasqua significa resurrezione, quello di sostituire al classico menù così ricco di carne e sangue qualcosa di più allegro, di meno micidiale, di più fantasioso. Le alternative, come sanno bene gli amanti della cucina, sono infinite. Avremo fatto
una buona azione in un giorno santo, e avremo insegnato ai nostri figli che tutti i cuccioli meritano qualche forma d’amore.
17 Marzo 2008 -
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