Non è stato introdotto alcun obbligo, ovviamente. Le aziende che vorranno fregiarsi del marchio dovranno seguire un determinato protocollo nella produzione e dimostrare alle autorità competenti di rispettarlo effettivamente.
Ciò offrirà ai consumatori la possibilità di praticare scelte più consapevoli e quindi, eventualmente, fare acquisti più in linea con le proprie convinzioni. Chiaramente si tratta anche di un’occasione per le aziende di conquistare fette di mercato, puntando sulla sensibilità ambientale ed un marketing ad hoc.
Ci si augura - pertanto - che i vincoli imposti dal marchio siano piuttosto stretti, onde evitare che si verifichi una sua stradiffusione incoerente e, in taluni casi, scarsamente affidabile, come è avvenuto in passato per il biologico e, in parte, per il commercio equo e solidale.
La responsabile del progetto sugli standard “climate friendly”, Anna Richert, membro della Federazione degli Agricoltori Svedesi (LRF), ha dichiarato che negli ultimi anni in Svezia, c’è stata una significativa riduzione dell’impronta ecologica nel settore alimentare soprattutto in relazione alle emissioni di gas serra.
La presentazione del marchio è stata preceduta da un’altra importante iniziativa ecologista per la quale la Svezia ancora una volta fa da capofila, ossia la pubblicazione di linee guida per la scelta di cibo a basso impatto ambientale.
“I consumatori effettuano delle scelte ambientali importanti nel momento in cui acquistano gli alimenti, pertanto essi hanno bisogno di indicazioni sulla base delle quali compiere le proprie decisioni”, ha dichiarato Inger Andersson, direttore generale dell’Amministrazione Nazionale Svedese del Cibo. E’ proprio per offrire agli acquirenti tali strumenti che quest’ultima, insieme all’Agenzia per la Protezione Ambientale del paese, ha redatto un documento che contenesse informazioni chiare e dettagliate allo stesso tempo.
Si tratta di un’iniziativa senza dubbio interessante e tali linee guida saranno probabilmente riproposte in un prossimo futuro da altri paesi dell’Unione Europea (almeno si auspica che ciò accada).
La categoria che nel documento viene additata come quella a maggior impatto ambientale è, come prevedibile, la carne. L’elevato consumo di manzo, agnello, maiale e pollo (caratteristico di molte culture occidentali) ha gravissime ricadute sull’equilibrio della biosfera e sulla sostenibilità ambientale. Le carni rosse sono poi, in generale, peggiori di quelle bianche. Alla produzione di un chilo di manzo è connessa l’emissione di gas serra per un quantitativo che può arrivare fino a 15-25 kili, ossia dieci volte di più di quanto si ha nel caso di un chilo di pollo. Subito a seguire nella lista nera vengono i prodotti caseari.
Carne e latticini sono gli alimenti che causano le maggiori emissioni di gas serra a causa delle ingenti quantità di metano prodotte dagli animali per via delle fermentazioni enteriche. Simili effetti collaterali sono poi particolarmente accentuati negli allevamenti intensivi, in seguito al tipo di alimentazione e allo stile di vita a cui il bestiame è sottoposto. In relazione a questo problema, si tenga presente anche che il metano risulta essere, purtroppo, venti volte più efficace dell’anidride carbonica nella generazione dell’effetto serra.
“Sostituire uno o due pasti a base di carne con piatti vegetariani o almeno ridurre la quantità complessiva di carne”, si legge nel documento che presenta le linee guida, “permette una riduzione dell’impronta ecologica umana e può rallentare i cambiamenti climatici in atto”.
Particolarmente preoccupante in questo senso è il vertiginoso aumento della popolazione in paesi come la Cina e l’India, i quali contemporaneamente stanno virando il loro regime alimentare verso quello caratteristico dei paesi ricchi dell’Occidente. Essi stanno cioè acquisendo sempre più una dieta ad alto consumo di carne e derivati del latte, con le gravi conseguenza già menzionate. Secondo la Banca Mondiale, se la domanda di cibo aumenterà del 50% entro il 2050, quella di carne si accrescerà dell’85%, proprio a causa delle economie emergenti.
Lo scenario è dunque inquietante e ad esso sono legati interrogativi e preoccupazioni non solo di natura ambientale ma anche “semplicemente” di sicurezza alimentale. E', infatti, ormai più che lampante che il Pianeta non sarà mai in grado di sfamare la popolazione in aumento se si pretende di sostenere un regime alimentare ricco di carne e latticini. La via vegetariana è l’unica possibile per garantire la sopravvivenza di oltre sei miliardi di esseri umani.
Oltre a considerazioni relative all’impatto climatico e ambientale degli alimenti, le guide linee analizzano anche gli aspetti legati alla salute, fornendo strumenti per compiere scelte oculate in materia di prevenzione di malattie. In linea generale, vale una regola d’oro: “A parte poche eccezioni, i cibi salutari coincidono con i cibi a minor impronta ecologica”.
Forse nel prossimo futuro in Svezia verranno venduti molti manuali di cucina vegetariana. Quanto al nostro Paese, ci auguriamo che tanto il marchio “climate friend” quanto le linee guida approdino presto, ma i grossi interessi economici che ruotano intorno agli allevamenti non lasciano sperare in una grossa spinta verso la scelta vegetariana.
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