Lasciamo perdere le polemiche sulle previsioni sottovalutate fatte da “quegli imbecilli che si divertono a diffondere notizie false”, come li ha definiti Bertolaso, capo della Protezione Civile, pochi giorni prima della tragedia. Evitiamo sterili ed inutili polemiche politiche, almeno per rispetto nei confronti di tutte le persone e le famiglie così pesantemente colpite dal sisma, e chiediamoci se il terremoto in Abruzzo, oltre ad essere indiscutibilmente un “segno” che ha ammonito una volta di più la stupidità e l’arroganza umana, ha scosso, oltre la terra, le coscienze degli italiani.
In un Paese in cui si fanno “piani casa” dalla più che dubbia utilità ed in cui si parla di rinascita del nucleare, in cui si vuole costruire un ponte che nemmeno giapponesi e californiani si sognerebbero di fare, un Paese in cui migliaia di edifici (anche di nuova costruzione) non sono a norma anti-sismica, ci si dovrebbe iniziare a porre non poche domande. Non solo sulla gestione della cosa pubblica, per lo più nelle mani di personaggi discutibili, ma sul rispetto del proprio territorio e, di conseguenza, della propria identità.
Saranno state scosse le opinioni di tutti quegli italiani che ritengono giusto, o anche solo sensato, dare modo a chi se lo può permettere di allargare le cubature delle proprie abitazioni del 20-30% in un Paese in cui gli edifici si sbriciolano alla prima scossa sismica ed in cui l’abusivismo edilizio è già di per sé una piaga difficile da estirpare?
È necessario costruire il ponte “a campata lunga” più lungo del mondo, che foraggi tra l’altro la speculazione edilizia mafiosa, quando urge una stabilizzazione, una solidificazione, o semplicemente una ristrutturazione degli edifici (nonché degli innumerevoli monumenti ed opere d’arte, di cui l’Italia è il Paese più ricco al mondo), sia per motivi sismici che di efficienza energetica?
L’Italia è da sempre un Paese ad altissimo rischio sismico, ma di questo passo il terremoto che si prospetta, o che ci si aspetta, è ormai anche di tipo istituzionale, sociale e, possibilmente, culturale. L’aspettarsi che le coscienze assopite degli italiani o gli ovvi interessi individuali siano realmente scossi dalla conta dei morti causati da questa calamità è forse cosa vana. Ma la speranza che il buon senso cominci a farsi strada tra un numero sempre maggiore di persone non può scomparire, se non altro perché la speranza è l’ultima a morire.
Purtroppo il carosello di belle frasi, di promesse e di buone intenzioni che seguono ogni tragedia di questo tipo, gli stati di emergenza e gli aiuti dall’estero prima no e dopo si, come sempre stanno già distraendo e frastornando le masse, distogliendole da quello che, subito dopo la solidarietà, dovrebbe essere l’obiettivo primario: il risveglio dall’incantesimo che assoggetta la salute di molti all’interesse di pochi.
Non c’è niente di ideologico in tutto ciò. Non c’è né destra né sinistra. C’è solo il miscuglio di rabbia, amarezza e dolore che nel quotidiano terremoto socio-ambientale ed istituzionale che stiamo vivendo, lascia sempre una porticina aperta, appunto, alla speranza. La speranza di un cambiamento.
Ma fino al suo arrivo, proviamo a fare in modo che prima non debba necessariamente crollare tutto.
8 Aprile 2009 - Scrivi un commento
tra l´altro, continuare a costuire non solo non e´utile al rilancio dell´economia ma anzi e´dannoso anche per quest´ultima (oltre che per l´ambiente e il territorio), in quanto l´edilizia favorisce solo il lavoro in nero (sottopagato e senza norme di sicurezza) e i contrasti sociali ed etnici tra disoccupati.
oltre a distruggere le basi della nostra esistenza (i terreni agricoli e le riserve di acqua)
riusciremo a svegliarci da quest´incubo?