Da una parte, oggi ogni teoria ispirata a Marx ha bisogno della decrescita perché essa rappresenta l’unica formulazione possibile di un anticapitalismo adeguato alla realtà del capitalismo attuale; dall’altra, la decrescita ha bisogno del pensiero di Marx perché in esso si trovano alcuni fondamenti teorici indispensabili per l’elaborazione di una proposta teorica e politica adeguata ai problemi che la decrescita stessa individua. Solo dall’incontro fra il pensiero di Marx e decrescita può nascere un anticapitalismo che sia capace di confrontarsi, sul piano teorico e politico, con la realtà del capitalismo attuale.
La nascita di una tale forma di anticapitalismo è ormai una necessità stringente. La dinamica dell’attuale fase capitalistica sta infatti spingendo il mondo verso un baratro spaventoso, ma la percezione sempre più diffusa, anche se in maniere ancora indefinite, di una tale tendenza, non riesce ancora a tradursi in un movimento politico in grado di incidere davvero sulla realtà. Noi crediamo che l’incontro fra il pensiero di Marx e la decrescita sia una precondizione perché si possano combattere con efficacia le dinamiche mortifere del mondo attuale.
Il punto fondamentale da cui partire per comprendere la nozione di decrescita è la distinzione fra beni d’uso da una parte e merci dall’altra. “Merce” non è sinonimo di bene o servizio, ma è un bene o servizio prodotto per il mercato in vista di un profitto e dotato quindi di un prezzo. Non c’è sul piano teorico alcun rapporto necessario tra aumento quantitativo delle merci, diffusione del benessere e progresso delle conoscenze.
Per un lungo periodo storico, fino a tutti gli anni Sessanta del secolo scorso, l’allargamento della scala di produzione di merci, pur con tanti risvolti negativi, è stato effettivamente associato, in un quadro storico complessivo, alla diffusione del benessere economico, all’ampliamento della libertà individuale, all’avanzamento dei costumi e delle conoscenze. A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, però, l’ulteriore aumento quantitativo dei beni prodotti per il mercato è stato sempre più correlato, non accidentalmente (come mostra una vasta letteratura economica e sociologica), alla crescita delle diseguaglianze sociali, alla riduzione delle risorse destinate alla protezione sociale, a minori diritti del lavoro dipendente, alla diminuzione del tempo libero dal lavoro, allo sviluppo di processi di de-emancipazione e di marginalizzazione, cioè a indicatori precisi di un diminuito benessere della maggioranza della popolazione e di una minore libertà individuale.
Una disponibilità accresciuta di beni e servizi può essere realizzata anche in un contesto non di sviluppo, ma di decrescita. Un esempio: immaginiamo che il nostro sistema sanitario cominci a svolgere una seria attività di prevenzione ecologica delle patologie mediche, e, con un’immaginazione ancor più sganciata dalla realtà attuale, che il nostro sistema politico e amministrativo produca e faccia rispettare leggi che riducano drasticamente i rischi di infortuni sul lavoro e di contatto nell’ambiente con sostanze patogene. In una tale situazione il cittadino fruirebbe di migliori servizi sanitari e potrebbe maggiormente disporre di quei beni preziosi che sono cure mediche attente alle persone e basate su buone informazioni ambientali, nel quadro non di uno sviluppo, ma di una decrescita dell’economia.
In Italia uno dei modi in cui si manifesta la nocività dello sviluppo è quello di progetti economici che tendono a invadere e distruggere il territorio con strutture e opere di vario tipo. Le nuove strutture devono invadere la vita quotidiana degli abitanti del territorio, sconvolgendola. Il punto cruciale sta però nel fatto che essa va nella direzione della critica dello sviluppo, anche se i suoi attori possono non averne coscienza. La prospettiva della critica dello sviluppo è l’unica che renda coerenti queste lotte, dando ad esse un valore e un respiro generali.
L’idea della decrescita è l’idea della graduale sostituzione del consumo di merci con quello di beni e servizi non mercificati, del consumo di beni prodotti intensivamente su larga scala e trasportati da lunghe distanze con quello di beni prodotti su piccola scala e trasportati su brevi distanze, di alti consumi di energia con bassi consumi di energia, della costruzione di nuove opere invasive del territori con il riuso e la manutenzione di opere già esistenti.
La difesa dell’integrità del territorio, attraverso proposte pratiche di decrescita, consente infatti di colpire elementi vitali di accumulazione del plusvalore (per esempio: sviluppo degli affari attraverso le cosiddette grandi opere, le grandi reti di distribuzione dell’energia, le grandi arterie di trasporto, lo smaltimento dei rifiuti) connettendo questa lotta contro l’accumulazione di plusvalore alla tutela delle condizioni materiali di vita degli insediamenti abitativi, e facendone la leva per nuove forme di redistribuzione della ricchezza collettiva a vantaggio dei ceti subalterni.
La difesa dell’integrità del territorio, attraverso proposte pratiche di decrescita, consente inoltre di colpire l’attuale intreccio affaristico-corruttivo tra ceti politici e imprese capitalistiche che ruota attorno alle rendite ricavabili dal consumo del territorio. La decrescita coincide quindi con la distruzione del modo di produzione capitalistico. La proposta della decrescita è quindi la proposta di un agire politico anticapitalistico adeguato alle forme in cui oggi si manifestano le contraddizioni capitalistiche.
Liberando l’anticapitalismo dalla ricerca di un Soggetto Sociale Rivoluzionario (la classe operaia, o i suoi succedanei come gli emarginati o gli immigrati) che faccia da garante metafisico del buon esito dell’impresa rivoluzionaria, la decrescita permette di guardare la realtà concreta alla ricerca delle contraddizioni reali che l’attuale fase di sviluppo del capitalismo genera: la degradazione dell’ambiente della vita comune, lo sconvolgimento continuo del territorio, l’invivibilità delle città, la lenta cancellazione di ogni forma di servizio sociale, l’insicurezza su tutti gli aspetti fondamentali della vita, tutto ciò si traduce in un continuo peggioramento della vita che genera tensioni e scontri.
Lottare contro il consumo distruttivo di territorio a favore di un suo uso funzionale ai bisogni delle comunità significa lottare per una politica di estesi servizi pubblici. Lottare per produzioni non intensive, distribuite a brevi distanze con basso consumo di energia, significa estendere l’area della piccola produzione indipendente. Ma più posti di lavoro, più erogazione di servizi pubblici, più piccole produzioni indipendenti, significano decrescita dei profitti e redistribuzione della ricchezza sociale in forma non di merci ma di beni e servizi.
(Marino Badiale e Massimo Bontempelli, estratti da “Marx e la decrescita”, www.megachip.info)
Articolo tratto da www.libreidee.org
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