Per rilanciare l’esanime economia italiana, infatti, il nostro esecutivo ha pensato bene di proporre "un piano straordinario per l’edilizia con effetti eccezionali sulla casa" che consiste in una liberalizzazione spinta delle norme per costruire, con un sostanzioso aumento delle cubature di tutto il patrimonio edilizio esistente "in deroga ai regolamenti e ai piani regolatori".
Si potranno aumentare del 20% le cubature di tutti gli edifici residenziali esistenti e della stessa quantità le aree coperte dagli edifici ad altra destinazione. Si potranno demolire e ricostruire, con il 30% in più, gli edifici costruiti prima del 1989. Tutto questo in deroga ai piani regolatori e ai pareri degli uffici: basta la certificazione di un tecnico.
Abbiamo capito da tempo che l’Italia è una Repubblica (quasi) democratica fondata sulla speculazione, ma sarebbero queste le proposte per uscire dalla crisi? Far aggiungere ai pochi che possono farlo in questo momento un pezzo alla loro casa (senza considerare i problemi a livello paesaggistico e/o di convivenza coi vicini che ciò comporterebbe) è un valido modo per rilanciare un’economia nazionale? E c’è davvero così tanta gente che si può permettere una villa da poter ampliare a proprio piacimento?
Invece di creare nuova occupazione ad esempio facendo ristrutturare e coibentare gli edifici, sostituendone magari porte e finestre in modo da renderli più efficienti a livello energetico, si propone di costruire una stanza o un bagno in più! Invece di rilanciare (temporaneamente) l’occupazione del sud sistemando le disastrate autostrade meridionali, si vuole costruire l’ennesima cattedrale nel deserto (il ponte sullo stretto). Invece di valorizzare le spesso imbarazzanti linee ferroviarie nazionali, si impone la costruzione di nuove tratte per l’Altà Velocità, in modo da arrivare a Bologna da Milano in un’ora invece che un’ora e mezza.
Una politica da dinosauri, perché propone ancora le stesse ridicole “soluzioni” alla crisi economica che venivano proposte cento anni fa. Nuove costruzioni, nuove infrastrutture, rilancio dell’industria automobilistica. Come se nessuno si fosse accorto che di macchine ne abbiamo più che a sufficienza, che siamo totalmente immersi fra strade e cemento e, soprattutto, come se non fosse ancora chiaro che la società dei consumi ha fallito miseramente nel suo intento di migliorare la qualità della vita delle persone. Perché sempre di consumo si tratta.
La speranza che qualcuno nel mondo della politica si possa fare avanti per cercare di fermare questo delirio, magari proponendo soluzioni un tantino più sensate a questa crisi forse più esistenziale che economica, non è molto grande.
Le amministrazioni comunali sono nella maggior parte dei casi aperte a qualunque compromesso possa consentire loro d’incamerare risorse; l’opposizione in Italia è ormai un lontano ricordo; un Casini che ritiene questa scelta “positiva” non sorprende, essendo il genero di uno dei maggiori costruttori del Paese (Caltagirone); ma il commento più intelligente è ancora una volta quello della Lega, con Umberto Bossi che dichiara: “Va studiato bene, non vorrei che facessimo le case per darle agli extracomunitari”, focalizzandosi sull’ultimo dei problemi che tale provvedimento potrebbe creare e dimenticandosi del fatto che una grande quantità delle persone che lavorano nei cantieri del nord ma non solo è proprio composta dagli extracomunitari di cui sopra, che sostituiscono (così come in molti altri ambiti, e spesso sottopagati) tutti quegli italiani che ritengono più prestigioso partecipare ad un reality show che imparare un mestiere.
Non siamo decisamente in buone mani.
Tutto il mondo si sta rendendo conto che stiamo assistendo alla morte del sistema consumista, così come abbiamo fatto venti anni fa con quello socialista. Sempre più persone hanno capito, o semplicemente intuito, che una crescita infinita (di qualunque tipo essa sia) non è possibile.
Non si possono più proporre le soluzioni che erano valide (forse) un secolo fa per far fronte ai problemi di oggi. Perché è semplicemente ridicolo proporre di demolire e ricostruire edifici in mancanza di guerre imminenti sul suolo europeo che permettano di farlo. È patetico proporre alla gente il consumo fine a se stesso in un momento in cui, oltre tutto, di soldi non ce n’è. È irritante continuare a devastare il paese più ricco al mondo di opere d’arte ed uno dei più belli a livello paesaggistico per l’interesse di quattro palazzinari. È allarmante pensare a quanto tempo ci vorrà per rimediare a questo tipo di scelte.
Siamo tutti indignati, e giustamente, per l’overdose di stupri a cui i media ci hanno ultimamente sottoposti. Ma sarebbe tempo di iniziare ad indignarci anche per lo stupro perenne a cui sono sottoposti il nostro Paese ed il nostro territorio. Magari formando ronde di cittadini che si propongano di evitarlo.
12 Marzo 2009 - Scrivi un commento