Un nuovo esperimento, i cui risultati hanno destato l’interesse dei cronisti internazionali, è stato condotto sulle acque minerali vendute in contenitori di differente composizione. Sotto accusa sono le bottiglie di plastica: il contenuto di ormoni femminili riscontrato nelle acque raccolte in tali confezioni è di gran lunga superiore a quello trovato nelle acque (anche le “stesse”, ossia provenienti dalla medesima fonte e della stessa marca) vendute nel vetro.
Lo studio è responsabilità di un gruppo di ricercatori dell’Università Johann Wolfgang Goethe di Francoforte, guidati da Martin Wagner e Jörg Oehlmann.
“Appare possibile che la contaminazione delle acque prese in esame da parte di xeno-ormoni” - ossia ormoni provenienti dall’esterno, non secreti dal corpo stesso – “sia originata dai materiali usati per il packaging”, si legge nell’articolo pubblicato sulla rivista scientifica “Envirnomental Science and Pollution Research”, “dato che le minerali imbottigliate nel PET e nel tetrapack sono risultate più estrogeniche di quelle confezionate nel vetro. Ciò induce a concludere che additivi presenti nei contenitori migrino da questi ultimi agli alimenti”.
Wagner e Oehlmann hanno rivolto l’attenzione alle acque minerali in quanto l’acqua è un composto “semplice” e non contiene ormoni endogeni (cioè non vi è un contenuto ormonale insito); inoltre, spiegano i ricercatori, “il consumo di acqua minerale è in crescita in tutto il mondo”.
Gli esperimenti sono stati condotti sia in vitro sia in vivo. Prima di tutto è stato misurato il quantitativo di estrogeni presenti in ogni acqua, facendo uso di un recettore di ormoni umani (analisi in vitro). La veridicità del responso è basata sul fatto che per ogni campione l’esperimento è stato condotto su tre bottiglie diverse e su ciascuna per tre volte. In seguito sono state fatte analisi in vivo su lumache terrestri femmine, monitorando la loro attività riproduttiva in condizioni di esposizione all’acqua estrogenata.
Cosa è emerso dagli studi?
L’analisi in vitro ha permesso di rivelare un’attività estrogena significativamente elevata in 12 dei 20 esemplari presi in considerazione. Più precisamente, sono stati rilevati ormoni in ben il 78% delle acque in bottiglia di plastica (ossia sette campioni su nove) e nel 100% di quelle in tetrapack (due marche su due), contro il 33% di quelle in vetro (tre campioni su nove).
Per valutare direttamente l’influenza del materiale di imballaggio, i ricercatori hanno analizzato acque minerali provenienti dalla medesima fonte, ma imballate con materiale differente: le minerali vendute in bottiglie di vetro sono risultate meno estrogenate delle corrispettive in PET. Più nel dettaglio, si è indagata anche la differenza tra contenitori in plastica riutilizzabili (vuoti a rendere) e monouso: l’acqua in confezioni usa e getta sono mediamente più cariche di estrogeni di quelle in bottiglia riutilizzabile (considerata non al primo uso), evidentemente perché queste ultime dissolvono il contenuto di ormoni nei vari passaggi, in più tra uno e l’altro sono risciacquate.
D’altro canto, l’analisi in vivo ha dimostrato che il contenuto ormonale delle acque prese in considerazione ha un effetto reale sull’equilibrio endocrino delle lumache, in quanto dopo 56 giorni di esposizione a 25 ng/l (nanogrammi per litro) di etinile-estradiolo la loro attività riproduttiva (valutata in numeri di embrione per femmina) è più che raddoppiata. In concreto, si è manifestato un significativo aumento della riproduzione nei campioni imbottigliati in plastica, piuttosto superiore rispetto a quello riscontrato nelle acque in vetro.
Tali sostanze fonti di ormoni costituiscono un’intera categoria, denominata EDC, ossia composti in grado di alterare l’equilibrio endocrino. Sono da anni poste sotto osservazione in quanto in potenza sono causa di danni all’organismo. Il legame di causalità tra l’ingestione di tali composti e gli effetti collaterali sulla salute umana, però, è ancora oggetto di controversie: non è una faccenda immediata, in quanto le malattie connesse agli ormoni possono essere correlate a varie cause, peraltro distribuite su un arco di tempo lungo. Non di meno, va detto che un numero non trascurabile di esperimenti suggeriscono che tale legame sia in effetti concreto.
A pochi giorni di distanza dalla pubblicazione dell’articolo da parte di Wagner e Oehlmann, è arrivata una risposta da parte di un portavoce dell’Associazione Britannica per le Bevande Leggere (BSDA), la quale sostiene che non sia possibile concludere dallo studio in questione che ci sia un’effettiva connessione tra l’attività estrogena riscontrata nelle acque e il confezionamento.
“I composti rintracciati nell’acqua non sono stati precisamente identificati, pertanto non possono esser fatti risalire ai materiali d’involucro. Inoltre composti analoghi sono stati ritrovati in test eseguiti su altri tipi di cibi e bevande senza che fosse rilevata una dipendenza tra attività ormonale e packaging.” Infine, afferma ancora la BSDA, “i livelli di queste sostanze riscontrati nelle acque sono infimi se comparati con i quantitativi naturali di ormoni presenti negli organismi e, comunque, sono ampiamente al di sotto dei livelli di sicurezza approvati dall’Unione Europea.”
Gli scienziati non sono ancora giunti ad una conclusione univoca (o grossomodo tale), pertanto occorre attendere i risultati di futuri ulteriori indagini. Nel frattempo noi consumatori siamo liberi di fare le nostre scelte. Quella primaria sarebbe la rinuncia all’acquisto di acque commercializzate tout-court, per svariate ragioni di natura ecologica ed economico-sociale. Gli imballaggi, soprattutto se usa e getta, sono oggi una delle maggiori cause di inquinamento. Le acque che ammiccano dagli scaffali dei supermercati sono imbottigliate per lo più da multinazionali che hanno un curriculum degno di far rabbrividire ogni consumatore critico che si rispetti. Del resto il mercato dell’oro blu è oggi considerato molto redditizio in termini economici, nonché estremamente vantaggioso in quanto a potere esercitato.
Bere l’acqua che fuoriesce dal rubinetto di casa, prediligere il vetro alla plastica, acquisire l’abitudine di riportare i vuoti dove consentito: ci sono varie opzioni e conseguenti diversi livelli di acquisizione di responsabilità.
Consumatori, fate il vostro gioco!
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