Anche senza scomodare teorici quali Jared Diamond o Toby Hemenwey, sostenitori della tesi secondo cui “agricoltura sostenibile” è fondamentalmente un ossimoro, credo che la domanda, posta in questi termini, contenga un errore di fondo.
Tanto per iniziare, lo sviluppo dell’agricoltura contemporanea è legato più al concetto di “commodities” che non di alimentazione. Reinserire l’agricoltura in un processo di alimentazione sostenibile vorrebbe dire abbandonare le “filiere” ed i processi lineari della produzione massificata.
Sicuramente ne beneficerebbero la biodiversità, l’ambiente e la qualità dell’alimentazione, ma il sistema sarebbe troppo complesso da gestire, soprattutto in una società come la nostra, dove la totalità della produzione agroalimentare è sulle spalle di una porzione di manodopera sempre in diminuzione e, di conseguenza, soggetta ad un’altissima meccanizzazione.
Inoltre i consumi di combustibili fossili crescerebbero probabilmente come conseguenza della diversificazione necessaria.
Quindi cosa facciamo? Abbandoniamo il concetto di agricoltura sostenibile e ci arrendiamo all’industrializzazione del mercato alimentare?
Probabilmente una risposta che ad oggi potrebbe sembrare utopica (ma anche i viaggi sulla luna lo erano…) ci può arrivare dall’analisi di come quelle 7 miliardi di persone si alimentano.
Le strategie di approvvigionamento alimentare attuali si possono suddividere in tre macrocategorie che divise percentualmente danno all’incirca questi valori:
- 2% raccolta-caccia
- 15% orti di sussistenza
- 83% Agricoltura
È evidente che vi sia uno sbilanciamento notevole verso la produzione agricola, sbilanciamento che ne nega automaticamente la sostenibilità dati gli alti consumi di combustibili fossili collegati.
La vera sfida per riportare l’agricoltura ad una sostenibilità passa quindi attraverso una sua drastica riduzione.
Come ridurre la necessità di dipendere dall’agricoltura?
Probabilmente, come sostiene Michael Pollan, attraverso una modifica della nostra coscienza alimentare.
Attualmente, secondo uno studio di Jason Bradford, le necessità di “spazio” agricolo per alimentare una persona (la ricerca è realizzata prendendo in considerazione la realtà nord americana) si divide all’incirca in questo modo:
- 1.140 m² a grano
- 400 m² a legumi
- 120 m² a produzione di olii
- 80 m² di vivaio
- 120 m² a frutta e verdura
- 600 m² a produzione di latticini
- 650 m² a produzione di uova
- 34.000 m² per la produzione di carne
Per un totale di poco più di 37.000 m² di cui solo 3000 dedicati alla produzione vegetale.
Bradford utilizza, come metro di misura per il suo studio, i dati dell’agricoltura convenzionale senza considerare che, molto spesso, un orto casalingo può essere più produttivo.
Prendendo questi dati e considerando un’alimentazione più razionale e variata, basata principalmente su vegetali e con ridotti consumi di carne e cereali, già di per se si avrebbe una riduzione dell’impronta ecologica dell’agricoltura.
Supponiamo che una parte dei terreni agricoli attuali, degli incolti urbani o suburbani (attualmente fuori dal calcolo statistico ufficiale dei suoli coltivabili) possano essere convertiti, su vasta scala, ad orti famigliari o collettivi e che questi vengano gestiti in maniera razionale ed ecologica attraverso tecniche colturali ad alto sequestro di carbonio (non movimentazione del suolo, pacciamatura, compostaggio ecc… ecc..). Si otterrebbe il doppio beneficio di sollevare l’agricoltura da un’eccessiva pressione produttiva e si attiverebbero circuiti virtuosi di recupero ambientale.
Se, inoltre, i terreni liberati dalla pressione agricola, fossero riportati ad uno stato “naturale”, forse non sarebbe così impossibile, in un prossimo futuro, modificare le percentuali di approvvigionamento alimentare ad un :
- 48% orti
- 48% agricoltura
- 4% raccolta-caccia
Forse la sostenibilità dell’agricoltura e del nostro sistema agroalimentare non passa tanto dalla ricerca di nuovi sistemi e mezzi agricoli ma dalla riduzione degli stessi.
Forse la sostenibilità dell’agricoltura passa dal fare un orto sul prato della propria casa.
2 Febbraio 2009 - Scrivi un commento
A Luigi - forse è vero, l'indolenza è un grosso freno ma non credo che seguire un'orto sia un lusso. Almeno a giuducare dalle persone che attualmente si dedicando di più all'orticultura urbana... Esistono, inoltre, sistemi di coltivazione a bassissimo input di energie (economiche e fisiche). E si, sono convinto che l'agricoltura rivesta comunque un'importantissimo ruolo ma che attualmente non stia seguendo dei "binari" di sostenibilità.