Un esempio abbastanza evidente sono i concimi di sintesi e l’agricoltura chimica in generale.
Sul lungo periodo hanno impoverito i terreni, creato problemi di inquinamento e vincolato pratiche agrarie a costosissime (sia dal punto di vista economico che ambientale) dipendenze.
Uno dei problemi maggiori correlati all’agricoltura è da sempre l’utilizzo dell’acqua, di cui è il primo e più importante “consumatore” mondiale.
I cambiamenti climatici, l’aumento della popolazione e la limitata disponibilità di questa fondamentale risorsa ne fanno uno dei punti chiave per il futuro. Sia su vasta scala che per il piccolo orto di famiglia vengono incoraggiati comportamenti e pratiche “conservazioniste”, che attivamente limitano un consumo “scriteriato” della risorsa acqua ed al contempo ne promuovano l’efficienza, in modo da preservarne quantità sufficienti per rispondere alla crescente richiesta dei centri urbani e ridurre la pressione sull’ambiente.
Sembra che ci si sia crogiolati nuovamente in un falso mito.
L’irrigazione a goccia non è quindi la soluzione per ridurre il consumo d’acqua.
Questo è quello che sostiene una ricerca pubblicata recentemente dal Proceedings of the National Academy of Sciences e riportata da diversi blog tematici.
L’attenta ricerca condotta lungo il Rio Grande (U.S.A.) si poneva lo scopo di colmare la lacuna esistente tra la promozione di sistemi di irrigazione a goccia e la loro reale efficacia ed efficienza (sia ambientale che economica); il risultato è un approfondito studio in cui vengono combinati dati biofisici, idrologici, agronomici, economici e politici la cui sentenza finale è: sul lungo termine, le tecniche irrigue di conservazione in realtà possono impoverire i bacini idrici.
Dati di economia idrica a parte (la situazione americana di incentivi e tassazioni non è così facilmente trasportabile in contesto italiano), il punto chiave della ricerca è legato al tasso di “ritorno” ai bacini dell’acqua utilizzata per l’irrigazione. Nel rapporto viene messo in evidenza come il sistema “a goccia” comporti in sé un tasso di evaporazione maggiore ed abbia come conseguenza piante più “assetate” limitando, a differenza dell’irrigazione per “allagamento”, la possibilità di ricarica dei “serbatoi” naturali.
Pur concordando con Zetland (autore di Aguanomics) quando sostiene che non necessariamente il risparmio idrico (ed economico) passi per il semplice “usare meno acqua”, sia lo studio del PNAS che Zetland tendono, a mio parere, a concentrare la loro attenzione su una situazione meccanicistica di perdite e guadagni cercando di trarne il maggior beneficio per tutte le parti in gioco, ambiente compreso.
In realtà la situazione è probabilmente più complessa di quel che potrebbe apparire.
L’irrigazione e la capacità di assorbimento del terreno sono direttamente legate alla composizione del terreno stesso e, se è vero che le piante irrigate a goccia assorbono una quantità maggiore di acqua, è altrettanto vero che i sistemi per allagamento creano fenomeni di erosione, dilavamento e compattamento con pesanti conseguenze sull’ecologia del suolo minandone la fertilità sul lungo termine. Lo studio può quindi essere calzante per ciò che riguarda la zona del Rio Bravo ma potrebbe essere confutato in pianura padana o lungo il Niger.
In più lo studio considera una situazione collegata direttamente ad un’area geografica dove la fonte principale di approvvigionamento idrico è un fiume non considerando sistemi di irrigazione che fondino le proprie risorse idriche su falde sotterranee, sulla raccolta di acqua piovana o su sistemi “misti”.
In generale appare comunque evidente che, parafrasando Zetland, l’acqua sia un flusso ed il suo uso efficace, efficiente e sostenibile sia direttamente collegato a come noi ci rapportiamo a questo flusso.
Sembra banale, ma l’acqua scorre. L’acqua scorre e finché non verrà considerata nella sua complessità fenomenologica, da dove arriva, dove passa, dove andrà e tutti gli effetti e le trasformazioni che produce o a cui è soggetta, il suo sfruttamento sarà sempre a rischio di consumo (non rinnovabile) invece che di utilizzo (rinnovabile).
29 Dicembre 2008 - Scrivi un commento