Il calcolo dei costi di un prodotto, sia esso un singolo materiale o un intero edificio, deve includere, oltre a quello di produzione, anche il costo ecologico e l’impronta lasciata sull’ambiente nell’intero arco della sua vita.
Determinare, però, il costo globale di un prodotto non è facile: occorrono centri di analisi e di ricerca e, soprattutto, servono risorse economiche. L’edilizia, purtroppo, non ha la stessa qualità informativa di altri settori, come quello alimentare. In Italia non esiste ancora un sistema di certificazione bio – ecologica degli edifici.
In questi ultimi tempi si parla tanto di risparmio energetico degli edifici. Possiamo considerare la certificazione energetica un primo passo verso la certificazione ecologica degli edifici? Come si fa il risparmio energetico in Italia?
L’Italia ha una legge sul risparmio energetico (legge 10) che risale al 1991: questa prevedeva l’obbligo, per gli edifici, di una certificazione energetica. Un’ottima legge dal punto di vista concettuale salvo che non erano presenti i regolamenti attuativi che avrebbero consentito negli anni successivi di renderla operativa. Siamo nel 2010 e ancora si fa fatica ad attuare quello che è un obbligo dell’Unione Europea.
Come si fa il risparmio energetico in Italia? Il consumatore pensa che il risparmio energetico si faccia con i pannelli solari, con il foto-voltaico, con le case passive… in realtà questo è uno specchietto per le allodole: sui tetti italiani di pannelli solari se ne vedono pochissimi. Il settore del solare ha avuto una crescita enorme, certo, ma perché partiva da zero: di conseguenza le percentuali sono interessanti.
In realtà il risparmio energetico in Italia si fa con l’isolamento, con la coibentazione. E quali materiali isolanti si usano? Per l’80% polistirolo o polistirene, prodotti di derivazione petrolchimica. Per più del 19% materiali di origine minerale, lana di vetro o di roccia (sono di origine naturale, ma enormemente additivati con prodotti di sintesi e pericolosi per la salute); soltanto per meno dell’1% si usano materiali di origine naturale vegetale: sughero, iuta, lana, cotone, fibra di legno, materiale di riciclo provenienti dal tessile.
È una grossa contraddizione: si usa petrolio per risparmiare petrolio. Utilizziamo materiali isolanti derivati dal petrolio per risparmiare petrolio nei nostri impianti di riscaldamento.
In poche parole, comprare una casa di classe A non vuol dire comprare una casa ecologica?
Quando l’immobiliare dice “Ti vendo una casa di classe A, B…”, il consumatore non deve dare per scontato che si tratta di una casa ecologica. Se è una casa che ha ottenuto il risparmio energetico per effetto di un certo spessore di materiale isolante che è petrolio, quella non è sicuramente una casa ecologica.
Come abbiamo visto, non è facile calcolare il valore economico della filiera produttiva, ad esempio, del polistirolo, a partire dal petrolio fino all’ultima fabbrica poiché ci mancano gli strumenti per farlo. Certo è che un isolamento con 40 cm di polistirolo o polistirene sono un disastro dal punto di vista ecologico.
Fatto così, il risparmio energetico è un rischio. Soprattutto, l’errore sta nel promuovere come edificio sostenibile quello isolato con il polistirolo. Il consumatore è portato a pensare che, siccome il polistirolo consente un forte risparmio energetico, il prodotto finale sarà pulito.
Esiste un modo intelligente per isolare gli edifici?
Già in fase di progettazione bisognerebbe pensare a come ridurre il fabbisogno termico di un edificio e, quindi, a come risparmiare energia. Ad esempio, se utilizziamo materiali presenti in loco – idonei alla situazione climatica della zona – possiamo notevolmente contenere il fabbisogno termico dell’abitazione.
Così anche, se per il suo riscaldamento usiamo basse temperature di esercizio, fonti rinnovabili, una corretta esposizione solare per un apporto passivo gratuito, un buon isolamento, risparmiamo energia.
Un modo intelligente per isolare un’abitazione esiste: usare prodotti vegetali, provenienti dall’agricoltura, disponibili localmente, rinnovabili. Quella che viene definita la filiera corta: materie prime locali, a km zero, trasformate in loco per alimentare un mercato locale.
Il cotone, la iuta, il legno, la canapa, il sughero, mentre crescono fanno fotosintesi, assorbono CO2 e restituiscono ossigeno; mentre vive, l’albero è un contenitore di CO2, un congelatore di CO2. Quindi, se uso come isolante un pannello di fibra di legno “faccio Kyoto” perché metto in casa un materiale che ha un bilancio CO2 attivo.
È un enorme settore che potrebbe essere sviluppato, ma non si sviluppa perché va contro gli interessi della lobby della petrolchimica che di questa legge è il principale sponsor.
L’Italia non pianta alberi, non fa forestazione produttiva; tutti i paesi sviluppati, ad economia avanzata – Stati Uniti, Canada, tutto il Nord Europa, la Russia, il Giappone, l’Australia – hanno una forte industria della forestazione per l’attività produttiva. Noi non piantiamo alberi: gli unici territori sono Trento, Bolzano e poco altro.
Sarebbe ridicolo mettere a Bolzano il polistirolo fatto con il petrolio cavato in Iran, quando l’isolamento lo puoi fare con gli scarti (attenzione dico con gli scarti, non con il legno) dell’industria del legno locale.
Che caratteristiche deve avere l’architettura per essere sostenibile?
“L’unica architettura sostenibile è quella non costruita”: è il mio motto.
Va contro i suoi stessi interessi?
No, assolutamente. Non dobbiamo smettere di progettare, ma di costruire rubando suolo fertile. È arrivato il momento di prenderci cura del costruito già esistente: proprio nel senso di “curare”. Il lavoro non mancherebbe di certo.
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