Eppure, le soluzioni e i materiali economicamente più convenienti non sempre lo sono anche dal punto di vista dell’eco – bilancio. Il denaro, in materia di ambiente, non costituisce un buon sistema di valutazione.
Per saperne di più sull’argomento, abbiamo intervistato Giancarlo Allen, segretario nazionale dell’Associazione Nazionale Architettura Bio – ecologica.
Spesso è il denaro a determinare le nostre scelte. Al momento di comprare un barattolo di vernice o un’abitazione, siamo anche disposti a minimizzarne o ignorarne i difetti purché il suo prezzo sia contenuto: ma è veramente il “prezzo sullo scaffale” a fare la differenza?
Il tema è molto complesso e articolato, ma proprio per questo interessante. Il “prezzo sullo scaffale” di un prodotto sintetico è più basso di quello di un prodotto biologico: proprio come per la patata biologica, la vernice o la casa biologica ha un costo aggiuntivo perché non ha le economie di scala e tutta una serie di altri fattori che consentono la riduzione del costo.
Il costo reale di un prodotto, però, è determinato non soltanto dai costi di produzione, ma da una serie di altri costi che si traducono in costi indiretti.
Se dovessimo fare un calcolo di quella che si chiama l’energia grigia, cioè di quella che non si vede e che non viene misurata, dovremmo valutare quanta energia viene consumata da un prodotto per l’estrazione, il trasporto e la trasformazione della sua materia prima; quanta ne viene consumata per il suo imballaggio, per il suo utilizzo e, alla fine del ciclo di vita, per il suo smaltimento o riciclo; la sua eventuale tossicità e il relativo rischio per la salute dell’uomo; il suo carico ambientale sotto forma di emissione nell’atmosfera di anidride carbonica o solforosa; il suo contributo all’effetto serra, all’inquinamento delle acque e del suolo, al danneggiamento del paesaggio…
L’analisi di un prodotto deve includere l’impronta lasciata da questo sull’ambiente nell’intero arco della sua vita.
Se il confronto dei costi fosse globale, i materiali sintetici derivati dal petrolio e gli edifici che li utilizzano diventerebbero molto costosi.
Come si fa a dire quanto costa il trasporto, la bonifica dei terreni inquinati, le guerre fatte per il petrolio, o i costi in vite umane, in effetti sanitari; quanto costa in termini epidemiologici la trasformazione del petrolio in materiali per l’edilizia? Come si fa a calcolare il valore economico della filiera produttiva, ad esempio, del polistirolo, a partire dal petrolio fino all’ultima fabbrica? Bisognerebbe che qualcuno mettesse in campo questo genere di ricerche, ma non interessano a nessuno; o meglio, interesserebbero ai consumatori, senz’altro non ai produttori.
Da qui la difficoltà oggettiva di determinare il costo globale di un prodotto e di fornire dati statistici. Occorrono centri di analisi e di ricerca; soprattutto, servono risorse economiche per studiare metodologie di calcolo e offrire sistemi di valutazione ambientale di un prodotto o di un processo edile.
Le cose che sto dicendo le capirebbe chiunque. Non ci sono dati statistici, ma capiamo tutti che dal pozzo di petrolio alla fabbrica petrolchimica c’è un costo energetico, una produzione di CO2, un impatto ambientale assolutamente non paragonabili a quelli, ad esempio, di un bosco in provincia di Bolzano che produce alberi che servono per fare il tavolo su cui mangiamo e con i cui scarti di produzione – la segatura – si fanno materiali isolanti da mettere in casa. Il confronto tra questi due cicli è evidente agli occhi di chiunque.
Se non il costo effettivo, è possibile almeno conoscere la qualità ecologica di un prodotto? Esiste, per i materiali dell’edilizia e per gli edifici, un marchio di qualità e un sistema di certificazione bio – ecologica?
L’edilizia, purtroppo, non ha la stessa qualità informativa di altri settori, come quello alimentare. Chi ci vende casa non ci dà un certificato che dice che la casa è fatta in un certo modo, da dove vengono i materiali; non fa quello che fa, ad esempio, il supermercato nel momento in cui ci vende il pesce. Non ci dice gli ingredienti, quei dati essenziali che possono consentirci di capire se stiamo entrando in una casa pericolosa, anche dal punto di vista della salute. Dovremmo avere un elenco, steso in maniera comprensibile, che ci dice che quella casa è fatta, ad esempio, con muri in laterizio, con intonaco di calce o di cemento, con tot polistirolo e così via.
Nell’edilizia, l’obbligo degli ingredienti non è previsto, a differenza del settore alimentare. Non è previsto nemmeno un manuale d’uso. Il buon consumatore che vuole usare bene una casa, si deve documentare, cercare sui libri… perché nessuno gli metterà in mano un certificato che gli dice come è costruita quella casa e come usarla bene, al fine anche di tutelare la propria salute.
Nel settore dell’edilizia, un sistema di certificazione probabilmente non esisterà ancora per molto perché il mercato dell’edilizia è molto complesso: un produttore di piastrelle farà di tutto per evitare un sistema di certificazione perché dovrà cominciare a dotare il proprio impianto produttivo di sistemi di depurazione, abbattimento delle polveri, filtri, controlli; dovrà fare, cioè, grossi investimenti.
Noi abbiamo supplito a questa carenza e abbiamo iniziato a proporre un marchio di qualità per i materiali. Esisterà, spero a breve, anche un nostro marchio per l’intero edificio. È un percorso in atto. Lento e faticoso.
Com’è la situazione negli altri Paesi?
Negli Stati Uniti, in Canada, in Inghilterra, in Francia, Olanda, Austria, Germania… è abbastanza simile a quella della certificazione per l’agricoltura biologica. Ogni Paese si è dotato di sistemi di valutazione e certificazione ambientale che indicano i requisiti per costruire edifici “verdi”. Alcuni esempi: in Inghilterra c’è il Breeam; negli Stati Uniti il Leed, il più forte a livello internazionale; in Francia l’Hqe, molto utilizzato nelle gare per le opere pubbliche.
L’Italia è un paese complicato. Quel che è peggio, oggi le case le costruiscono le immobiliari e noi possiamo solo scegliere tra quello che il mercato mette a disposizione. È veramente residuale l’ipotesi che un singolo possa decidere come deve essere fatta la propria casa. Questo è un retaggio di tempi andati, di quando la casa la costruivamo sul terreno lasciato dai nostri nonni…
(fine prima parte)
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