Le lampadine comunemente chiamate “a basso consumo” sono quelle a fluorescenza. Esse si distinguono facilmente perché costituite da un tubo di vetro (lineare o ripiegato), riempito da un gas, vapori di mercurio e polvere fluorescente. Quelle tradizionali (ossia a incandescenza), invece, hanno forma a bulbo e presentano all’interno un filamento di tungsteno.
Nonostante il costo iniziale, che è oltre 10 volte maggiore, le lampadine a fluorescenza sono estremamente più convenienti di quelle classiche, a parità di potenza assorbita sono in grado di erogare molta più luce. In pratica, una lampada a basso consumo da 20Watt produce la stessa luminosità di una a filamento di 100Watt.
Tale virtù è legata al fatto che le lampadine a scarica elettrica in gas, cioè quelle a fluorescenza, vantano un’elevata efficienza: il 20% della corrente elettrica assorbita è trasformato in luce. In quelle tradizionali, invece, gran parte dell’energia viene dissipata sotto forma di calore (il filamento si scalda, per questo si parla di “incandescenza”), cosicché si traduce in effettiva illuminazione.
Le lampade fluorescenti hanno inoltre una notevole durata. Se quelle a filamento vantano una vita media di 1000 ore, quelle a risparmio energetico sono in grado di erogare luce per ben 8-10000 ore.
Tutto ciò si traduce in un risparmio economico per il consumatore che è stato valutato essere di circa il 73%. Al di là degli interessi del portafoglio, ci sono quelli di natura ecologica. L’impiego massiccio delle lampadine a fluorescenza, in luogo di quelle classiche, comporterebbe un consumo di energia molto minore e quindi anche una sensibile riduzione dei gas serra rilasciati nell’atmosfera.
In primo luogo queste lampadine contengono mercurio e polveri fluorescenti, entrambi potenzialmente tossici per l’uomo e inquinanti per l’ambiente. Ciò fa sì che, una volta esaurite, esse si configurino come rifiuti speciali, che devono essere smaltiti separatamente ed opportunamente, come tutti i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). Proprio per questo, dall’autunno 2007, nel prezzo della lampada è incluso un contributo per il suo recupero e invio al riciclo, operazioni che devono essere effettuate dalle stesse case produttrici, organizzate in appositi consorzi.
A tal proposito è già in corso una polemica. In Italia, sebbene la legge sia presente così come la tassa, il recupero, invece, non viene ancora realmente praticato. “La raccolta differenziata non è partita perché non sono ancora operative le norme specifiche che regolino il complesso meccanismo di recupero presso i punti vendita”, afferma Valerio Angelelli, membro del Ministero dell’ambiente e presidente del Comitato di controllo e vigilanza RAEE. “Noi, come Ministero, quelle norme le abbiamo già scritte. Ora siamo in attesa dell’approvazione finale da parte della Commissione Europea”.
Di aree ecologiche destinate alla raccolta dei rifiuti tecnologici ne risultano operative già 500 delle 1000 previste in tutto il territorio italiano. Ben pochi punti di raccolta sono invece rintracciabili nei grandi magazzini come anche nei negozi specializzati. Ciò perché il procedimento di recupero, come sopra detto, non è ancora attivo, pertanto nessun centro commerciale ha voglia di accumulare materiale che non sa come inviare allo smaltimento.
E’ assolutamente importante che i dispositivi a fluorescenza non siano introdotti nei rifiuti normali perchè se rotti rilasciano nell’ambiente le sostanze tossiche in essi presenti.
Un moderato rischio legato alla presenza di mercurio e polveri fluorescenti è comunque dato dal fatto che le lampadine potrebbero rompersi in casa, esponendoci al contatto e all’inalazione di tali sostanze.
In realtà i tubi di vetro sono abbastanza resistenti e le quantità di mercurio contenute nelle lampadine di ultima generazione sono molto ridotte.
Ad ogni modo, l’Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti (EPA) suggerisce di aerare la stanza per almeno un quarto d’ora dopo la rottura, raccogliere i pezzi di vetro e tutti i resti di materiale usando panni di carta bagnata e chiudere questi ultimi insieme ai frammenti in una busta di plastica sigillata.
Un’altra problematica da affrontare in relazione all’impiego massiccio delle lampade a basso consumo è il fatto che esse emettono onde elettromagnetiche a bassa (50Hz) e a medio-alta frequenza (30-60kHz).
L’intensità di tali campi come anche la loro pericolosità rappresentano questioni controverse, in merito alle quali gli studi non hanno ancora prodotto una risposta univoca.
Uno studio riportato sull’edizione del giugno 2008 dell’American Journal of Industrial Medicine afferma che la cosiddetta “elettricità sporca”, che si può generare se le onde elettromagnetiche emesse dalle lampade a fluorescenza viaggiano attraverso i cavi elettrici dell’intera casa, possa aumentare di 5 volte il rischio di contrarre un cancro.
D’altro canto ricerche condotte per conto dell’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) e l’Ufficio federale dell’energia (UFE) svizzeri hanno dimostrato che, invece, a distanza di 30 cm dalla fonte i campi elettromagnetici generati dai dispositivi a fluorescenza sono paragonabili a quelli prodotti dalle lampadine a filamento.
Inoltre in ogni caso queste radiazioni, secondo tale studio, sono ampiamente al di sotto dei livelli consentiti per gli elettrodomestici.
Per avere una risposta univoca dobbiamo dunque attendere ulteriori ricerche. I valori riportati, per altro, sembrano dipendere fortemente dal metodo adottato per la misurazione: quindi prima di tutto occorre individuare la procedura che meglio permetta di valutare i rischi per la nostra salute.
Preoccupazioni e polemiche ruotano intorno anche ad un’altra questione: l’emissione di radiazioni UV-B e tracce di UV-C da parte delle lampadine a fluorescenza. Si sa, infatti, che tali radiazioni sono dannose per la pelle e per gli occhi. Di fatto ormai però queste lampade sono dotate di un doppio guscio protettivo, che è in grado di circoscrivere notevolmente il problema.
In tal caso in presenza di luci a fluorescenza si può riscontrare un aggravamento delle patologie. In merito a questo, sorge spontanea la domanda: se le lampadine a incandescenza saranno completamente messe al bando, i soggetti interessati da queste malattie cosa potranno fare? Non sarebbe dunque opportuno inserire delle eccezioni nella normativa? Di fatto ci sono già dei gruppi di attivisti che si stanno muovendo per ottenere garanzie in questa direzione.
In definitiva l’emergenza climatica ci induce a dover ricorrere senza dubbio alle lampadine a basso consumo in modo da ridurre sensibilmente la richiesta di energia e la conseguente emissione di CO2 nell’atmosfera.
Quanto ai rischi per la salute paventati, è opportuno che si continuino ad effettuare studi approfonditi, in modo da fare chiarezza sulle varie questioni.
Nel frattempo speriamo anche in risposte nuove da parte della ricerca tecnologica, sia nella realizzazione di lampade a fluorescenza sempre più sicure (ossia contenenti minime quantità di sostanze dannose e ben schermate), sia nella messa a punto di soluzioni del tutto diverse. E’ il caso, per esempio, delle lampadine a led, vantaggiose in termini di efficienza e durata rispetto alle lampade a incandescenza e più sicure di quelle a fluorescenza, ma ancora lontane dai parametri di risparmio e resa offerti da queste ultime.
29 Giugno 2009 - Scrivi un commento
Questa è propaganda...
L'energia si può benissimo produrre senza immissioni di CO2 nell'atmosfera. Perché non dovrei alimentare la mia lampada ad incandescenza con energia elettrica prodotta da una centrale idroelettrica, nucleare, eolica, solare, geotermica?
L'unico motivo per cui si vieta una tecnologia con la scusa che è "meno efficiente" di altre secondo la misura del grande fratello, è di fare un favore ai produttori di lampade con il benestare degli ecologisti.