L'Urlo

Una sera di febbraio romana...

Pensieri e riflessioni generati da piccole azioni quotidiane. Un'eterna lotta tra forze opposte, che si confrontano. E un'anziana coppia diventa protagonista della lotta finale tra civiltà e potere. Nel frattempo, il cemento ci stringe nel suo abbraccio sempre più stretto. Liberiamoci.

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di Daniel Tarozzi


Una sera di febbraio romana, non particolarmente fredda.

Appena uscito dal cinema, sto togliendo la catena al mio motorino (purtroppo non elettrico).

Vedo una signora un po’ avanti con gli anni che con difficoltà si avvicina al cassonetto della plastica, traboccante, e cerca di capire dove deve buttare la bottiglietta che ha in mano.

Si vede che non è avezza ai cassonetti differenziati, ma nonostante una certa difficoltà di movimento e una marea di rifiuti che le rendono difficile l’avvicinamento al cassonetto, pare molto motivata a gettare il rifiuto nel contenitore giusto.

Di fianco il (suppongo) marito che la aspetta con fare spazientito. Molto spazientito. Eppure si tratta di pochi secondi che la signora sta impiegando per una causa nobile.

Lei lo guarda un po’ spersa e gli chiede: “Ma dove devo buttarla”? E lui, con gesto sgraziato: “E buttala per terra!”. La signora desiste dal suo tentativo e butta la bottiglia per terra, accanto alle buste che sono lì abbandonate.

Io osservo tutta la scena come pietrificato. Ecco due forze che si oppongono. L’energia femminile e quella maschile. Quella che cerca faticosamente di agire nel rispetto del pianeta in cui vive e quella che pensa solo ad andare avanti sempre più avanti. Ed ecco la seconda che schiaccia la prima, con disprezzo, annientando ogni velleità di civiltà.

Un piccolo esempio, molto avvilente, di come la nostra “civiltà” riesca spesso a soffocare le sue istanze migliori, ridicolizzandole o criticandole.

Pochi secondi e la coppia non c’è più.

Alzo lo sguardo e vedo un palazzone squallido, molto squallido, che affaccia su una via consolare generalmente molto trafficata. Uno striscione svetta tra i tristi balconi di questo palazzo. Qualcosa come: “Non ci sfratterete dopo quarant’anni! La casa è un diritto!”

E qui l’avvilimento cresce. Ovviamente nessuno dovrebbe essere mai sfrattato dalla propria casa, specie dopo tanti anni. Ma fa anche impressione pensare che degli esseri umani, degli esseri animali, che hanno visto la luce su un pianeta meraviglioso, lottino e combattano per mantenere il diritto di trascorrere altri quarant’anni all’interno di una triste prigione di cemento, con vista traffico.

Veramente queste persone non possono ambire a qualcosa di meglio? Ad un appartamento anche solo leggermente meno decadente? Ad una finestra che non affacci su tubi di scappamento e clacson impazziti?

La casa è un diritto. Il lavoro è un diritto. L’istruzione è un diritto. Ma anche la qualità della vita dovrebbe esserlo. Anche l’armonia con il pianeta in cui viviamo.

Siamo talmente sradicati da ogni possibile equilibrio con la nostra “madre” che ormai non avvertiamo nemmeno più l’innaturalità del nostro stile di vita, del nostro “habitat” disumano.

E così le signore che vogliono fare la raccolta differenziata sono derise e criticate e le persone lottano per qualche metro cubo di cemento di orwelliana memoria.

Ma qualcosa si sta muovendo. Piano. Lontano dai media. Lontano dai mariti già morti dentro. Qualcosa in fondo ha spinto quella signora verso quel cassonetto blu.

Qualcosa ha spinto migliaia di persone in tutto il mondo ad abbandonare le città e i valori che esse rappresentano per tentare una via diversa, nuova.

Non un ritorno ad uno stato di Natura mitico e probabilmente scarsamente desiderabile, in cui uomini e donne dimentichino migliaia di anni di evoluzione.

Ma un andare verso una nuova forma di futuro. Un futuro in cui le tecnologie siano al nostro servizio e non viceversa. In cui progresso non significhi necessariamente aumento dei consumi, ma aumento della qualità della vita.

Un futuro in cui le persone non sognino di vivere il più a lungo possibile ma nel modo migliore possibile. In cui il piacere, la gioia, la felicità, non siano percepiti come uno squallido mito americano o una sciocca illusione d’infante, ma la norma per milioni e milioni di persone.

Ed ecco nascere le reti del bio-regionalismo, i gruppi di acquisto solidale, il consumo consapevole, le produzioni biologiche e così via.

Grazie signora dal passo affaticato. Grazie per il suo tentativo. Ci riprovi ancora, magari senza chiedere consiglio a suo marito. Lui ha già perso. Il suo mondo è finito.

24 Febbraio 2008 - Scrivi un commento
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