Se anche il premio Nobel Carlo Rubbia ci mette in guardia sul nucleare (si veda la puntata di Annozero del 14 febbraio 2008) – 10 anni per costruire altre centrali, investimento economico ripagato su lunghissimo tempo, problema delle scorie, scarsità dell’uranio e aumento dei costi – la mosca al naso ci deve venire.
Alberto Zoratti – autore, con Roberto Bosio, di Fermiamo Mister Burns (Arianna Editrice, 2008) – ci aiuta a capire le ragioni del ritorno del grido “al nucleare, al nucleare”, prospettando nel contempo nuove strade energetiche.
Alla luce dei problemi energetici e della patologica incapacità della classe dirigente italiana ad affrontarli, ritorna ad avere credibilità la "tentazione" nucleare. Quali sono i motivi scontati, e quelli meno scontati, per ribadire il rifiuto di questa fonte energetica?
“I motivi sono molti e circostanziati. C’è un problema di ordine economico, intanto. Ci sono studi, come quello dell’Università di Greenwich (The Economics of Nuclear Power: analysis of recent studies, Università di Greenwich, Luglio 2005) o dell’Università di Chicago (The economic future of nuclear power, University of Chicago, Agosto 2004) che parlano chiaramente di non convenienza economica. Si parla di necessità imposta da un clima che cambia, da una situazione di riscaldamento globale che chiede risposte veloci. Ma trovare la soluzione nel nucleare significa sbagliare strategia, intanto perché non è vero che il nucleare è a emissione zero. Lo è la produzione tout-court da fissione, ma non lo è certamente la costruzione (dispendiosa e lunga) degli impianti, né il processamento. Poi ci sono i tempi di costruzione, dell’ordine di sei anni in media (ma che per l’Italia salirebbero per l’attesa necessaria ad ottenere le varie autorizzazioni), che non permettono risposte adeguate in termini di velocità ad un clima che sta cambiando velocemente. Ma una risposta ci viene data addirittura dal rapporto del 2006 del World Energy Outlook, secondo il quale per i prossimi venti anni il contributo ad una diminuzione delle emissioni di gas serra dato dal nucleare sarebbe minimo e non andrebbe oltre il 10%. Al contrario un miglioramento netto nell’efficienza nei consumi e nella produzione energetica contribuirebbero rispettivamente per un 65% e per un 13%. Ma allora, di quale nuova strategia energetica stiamo parlando?”
Il rifiuto del nucleare può essere disgiunto, all'oggi, da una critica complessiva al modello di sviluppo industriale e al richiamo ad una riduzione di scala e alla "decrescita"?
“Il nucleare viene proposto come risposta alla fame di energia, esattamente come gli Ogm vengono offerti per combattere la fame nel mondo. Ad un modello di sviluppo estremamente dispendioso in energia e risorse, la risposta non è riformarlo, ma aggiungere problemi a problemi. Prima ancora di una riflessione sulla decrescita – un concetto che andrebbe certamente articolato meglio per non cadere nella demagogia – oggi bisognerebbe parlare di aumento dell’efficienza energetica, di risparmio, di energie alternative. Secondo un incontro organizzato alla Camera di Commercio di Milano da Ises Italia (la sezione italiana dell’International Solar Energy Society, ndr) nel dicembre 2006 dal titolo “2006: Anno dell'efficienza energetica negli edifici”, è emerso che attraverso interventi mirati, il consumo energetico degli edifici e le rispettive emissioni di gas climalteranti potrebbero essere ridotti almeno del 25%: non male, se consideriamo che l’intero comparto ha consumi annuali di circa 70 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. L’Enea, in uno studio pubblicato nel 2003, dimostra come una famiglia media italiana potrebbe risparmiare fino al 10% delle spese legate all’uso degli elettrodomestici e fino al 40% delle spese per il riscaldamento. E tutto senza far nulla, semplicemente modificando i propri comportamenti quotidiani”.
L'analisi internazionale quali risposte dà in merito alle scelte energetiche? I nuclearisti danno per scontato che i Paesi avanzati adoperino massivamente questa fonte, ma è proprio vero?
“In realtà l’energia da fonti energetiche negli ultimi anni ha subito un forte stop proprio nei paesi avanzati, perché poco conveniente. Pensiamo agli Stati Uniti o alla Gran Bretagna, dove British Energy – il colosso energetico britannico che gestisce gli impianti – fu salvato nel 2002 da un’iniezione di denaro pubblico. Oggi gli accordi si fanno nei paesi emergenti come la Russia, l’India, la Cina. Guarda caso potenze nucleari anche sul piano militare. E questo perché il ciclo del nucleare si chiude in maniera economicamente conveniente se in fondo alla catena di produzione ci sta l’industria militare, che riesce a riciclare più efficacemente quei prodotti secondari che altrimenti sarebbero un costo”.
“La risposta non può essere univoca, ma più complessa di quanto si pensi. È necessario un mix di fonti energetiche come l’idroelettrico (soprattutto di piccole e medie dimensioni), il solare, il vento, il gas naturale, sommato, però, a tutte le esistenti strategie di risparmio energetico. Che dire delle case-clima, già diffuse nel nord Europa ed in parte in provincia di Trento e di Bolzano dove il consumo totale si attesta sui 7 KWh/m² all’anno? Stiamo parlando di meno di un litro di olio combustibile per metro quadrato annuo (o meno di un metro cubo di gas), contro i 300 KWh/m² all’anno che si possono trovare come punta massima nei nostri edifici, con una media che – nel 90% dei casi – tocca i 200 KWh/m² all’anno (attorno ai 20 litri di olio combustibile per metro quadrato annuo). E questo è soltanto un esempio”.
Quali sono le reali alternative energetiche a cui far riferimento in Italia? Responsabilità e consapevolezza non richiederebbero innanzitutto produrre vicino ai luoghi di consumo, risparmiare e innovare con tecnologie appropriate?
“Responsabilità e consapevolezza dovrebbero innanzitutto richiamare il cittadino alle sue responsabilità personali, al proprio stile di vita, che dovrebbe essere all’insegna dell’attenzione ai propri consumi. Il risparmio energetico è sicuramente il primo passo. Ma a questo vanno affiancate politiche pubbliche che parlino di agevolazioni sull’edilizia, a cominciare dalle coibentazioni (meglio se in materiali naturali) per arrivare ai consumi. E poi, certamente, le fonti di approvvigionamento, che dovrebbero contemplare produzioni con microimpianti. Insomma, passare da una gestione centralizzata della produzione ad una gestione reticolare, dove ognuno non sia solo utente ed utilizzatore, ma anche produttore e distributore. Una rivoluzione, ovviamente. Ma visto il cambiamento in atto, forse ne vale la pena”.
Articolo a cura di Eduardo Zarelli tratto da Il Consapevole
Fermiamo Mr. Burns
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Ovviamente anche i rischi hanno un costo.
Grato
giacomo salco