Oggi a Roma si sta parlando ancora di un ritorno al nucleare per l’Italia, con l’intenzione da parte del nostro governo di prendere accordi che probabilmente la maggioranza degli italiani nemmeno condivide.
Al vertice italo-francese di Roma, infatti, Berlusconi e Sarkozy, con quindici ministri di entrambi i governi, firmeranno una serie di accordi che riguarderanno diversi settori, come quello militare, quello dell’istruzione e quello dei trasporti, coi quali si confermerà ad esempio un’altra dispendiosa scelta dalla dubbia utilità: quella del corridoio 5 e del TAV Torino-Lione. Ma i riflettori saranno puntati soprattutto sull’energia nucleare.
La notizia del giorno è data dall’accordo stretto tra l’italiana Enel e la francese Edf, che dovrebbe portare alla costruzione di quattro centrali nucleari in Italia.
Sarà sicuramente un tappeto rosso quello che i francesi (gli stessi che si sono voluti escludere a suo tempo per salvare l’italianità di Alitalia) stenderanno alla rinascita del nucleare italiano, perché se avverrà lo farà soprattutto all’insegna della loro tecnologia Epr.
L’Italia in cambio si impegnerà per rafforzare la cooperazione a tutto campo, in particolare nei settori ricerca, costruzione, gestione delle scorie (dato che lo smaltimento non ne è possibile) e business congiunto anche in Paesi terzi.
L’italianità non può proprio dormire sonni tranquilli, perché la tecnologia francese coprirà almeno il 50% dell'operazione, mentre il resto rimarrà contendibile, con un occhio di riguardo alla principale filiera tecnologica concorrente: l'Ap1000 dell'americana Westinghouse.
Stando agli impegni presi dal nostro Governo, la prima centrale nucleare dovrebbe entrare in funzione nel 2020. Un vero e proprio sogno ad occhi aperti, se si pensa che centrali di questo tipo richiedono dai quindici ai venti anni per essere costruite e avviate in paesi efficienti e puntuali.
E ciò significa che per almeno altri quindici o venti anni la situazione energetica del nostro paese non cambierà. Mentre gli sforzi saranno incentrati sui nuovi impianti nucleari, infatti, si sottrarrà tempo ed ingenti somme di denaro (ovviamente pubblico) allo sviluppo ed all’implementazione di altre forme ben più sensate di fornitura di energia.
Si parla di business, di grandi affari per le “nostre” imprese (come Finmeccanica ed Ansaldo Energia), addirittura di lotta ai cambiamenti climatici facendo passare il nucleare come soluzione ecologica (!), ma si tralasciano alcuni particolari di non poca importanza.
Ad esempio, è risaputo che l’energia atomica non è conveniente da nessun punto di vista economico, in quanto i costi di gestione (e di smantellamento in seguito) sono estremamente elevati. Senza considerare il fatto che non esiste alcuna compagnia di assicurazioni disposta ad assicurare, appunto, una centrale nucleare.
Alla faccia dei più o meno buoni propositi, inoltre, è molto alto il rischio di danni all’ambiente ed alla salute, ricordando che bambini deformi nati in prossimità di siti di scorie piuttosto che di centrali in cui si sono verificati incidenti non sono un’opinione.
E ricordando che se in Italia si verificano delle “emergenze rifiuti” già adesso, è meglio non pensare a cosa succederebbe se questi rifiuti fossero radioattivi.
Col ritorno al nucleare si userebbero tecnologie ormai sorpassate in un momento in cui l’Italia sta già rimanendo talmente indietro da non potersi permettere di farlo ulteriormente.
L’energia che fornirebbe sarebbe solamente elettrica, mentre avremmo bisogno (e non solo in Italia) di un ridimensionamento della fornitura energetica su ben più vasta scala. Basti pensare ai trasporti o al riscaldamento.
È molto rischiosa se si considera la possibilità di attacchi terroristici, dei quali si è miracolosamente smesso di parlare.
Ed ancora: andrebbe contro il volere popolare; fino a nuovo referendum, almeno.
Proprio a questo proposito, il fatto di andare senza nessun pudore contro il voto espresso dagli italiani nel 1987 può sembrare meno grave del fatto di voler ricominciare a produrre scorie che rimarranno radioattive per migliaia di anni, ma ne è il presupposto.
E al di là di questo, dovrebbe stare ai cittadini italiani (come a quelli europei in generale), capire che ciò di cui abbiamo bisogno non è una maggiore fornitura di energia, ma un uso più moderato, efficiente e consapevole della stessa.
Si possono iniziare a costruire delle case che sprechino meno energia, come già si fa in Germania, si può in iniziare a diffondere la micro-cogenerazione diffusa (mediante la quale si potrebbe addirittura riconvertire una parte dell’industria automobilistica, essendo i cogeneratori molto simili al motore di un’auto).
Si dovrebbe aumentare il livello di partecipazione alle decisioni riguardanti appunto le politiche locali, invece di aspettarsi sempre che qualcun altro lo faccia per noi. Del resto lo diceva già Jean-Jacques Rousseau più di due secoli fa che “non abbiamo bisogno di buoni politici, ma di buoni cittadini”.
Quindi, siccome non ci si può aspettare nulla né da Berlusconi né da una sinistra che è tutto tranne un’alternativa al governo di veline che ci ritroviamo, ciò di cui abbiamo veramente bisogno in Italia è una nuova coscienza.
Dire che bisognerebbe diminuire la domanda di energia piuttosto che aumentarne l’offerta implica il bisogno di una nuova mentalità, che ci permetta di cambiare i nostri stili di vita spreconi e magari di riprendere in mano non solo il nostro Paese, ma anche le nostre vite. E questo deve principalmente partire da noi.
Può sembrare ancora più difficile che non gestire delle scorie radioattive, e forse lo è. Ma è anche più possibile, più realizzabile.
È davvero necessario? Dobbiamo davvero affidarci (ancora) alla fornitura di energia dall’estero (tecnologia prima ed uranio poi)?
E abbiamo davvero bisogno di nuove tratte di TAV quando basterebbe ristrutturare le malconce ferrovie già esistenti?
Si devono costruire davvero in zone sismiche ponti giganteschi che collegherebbero regioni che ancora non hanno autostrade decenti?
È così difficile capire che gli interessi in gioco sono di poche lobby, e non dei cittadini italiani?
Se sì, se non vediamo il grande spreco di tempo e di risorse che queste scelte comportano o potrebbero comportare (in un momento in cui oltre tutto non possiamo permettercelo, essendo l’Italia sull’orlo del collasso finanziario), ci meritiamo davvero i governi che abbiamo.
23 Febbraio 2009 - Scrivi un commento
Ora, a parte il fatto che la produzione elettrica tedesca è per il 55% da carbone e per il 30% da nucleare, per cui ce ne sarebbe di strada da fare prima di pretendere di imitare la Germania, proprio il fotovoltaico tedesco è la prova provata - se mai ci fosse stato bisogno di tale prova - del fallimento di questa tecnologia. Pensate, la metà della potenza fotovoltaica mondiale è installata in Germania, ma dal fotovoltaico quel Paese ci ricava meno dello 0.5% dell'energia elettrica che consuma. Molti miliardi per nulla è il titolo di un recente articolo ove il quotidiano Die Zeit, riportando la notizia di uno studio del Rhineland-Westphalia Institute for Economic Research di Essen, così scrive: «Le installazioni di nuovi moduli fotovoltaici nel solo anno 2009 sono costati ai consumatori oltre 10 miliardi di euro. E questo per immettere sulla rete elettrica all'incirca lo 0.3% della domanda nazionale, praticamente nulla». Quello studio ha sottolineato come 1) l'indotto industriale legato al fotovoltaico svanisce non appena si esaurisce il meccanismo degli incentivi; 2) la tecnologia non mitiga, ma aggrava, il problema della sicurezza degli approvvigionamenti, visto che il back up di questi impianti intermittenti viene assicurato da centrali a gas, cosa che ha comportato un aumento delle importazioni di gas dalla Russia; e, 3) coi 77 miliardi che si vorrebbero impegnare in questo settore, si potrebbero costruire impianti nucleari che assicurerebbero un output 35 volte maggiore.
Le cose che il prestigioso istituto di ricerca economica tedesca ha ora scoperto noi, in verità, le ripetiamo da dieci anni. E siccome, a quanto pare, repetita iuvant..., non possiamo che insistere. La specialissima modalità con cui l'umanità si serve dell'energia rende assolutamente inutile quella erogata dal vento e dal sole. Noi abbiamo bisogno di energia qui, ora, e con la potenza desiderata: per soddisfare questo nostro bisogno decidiamo noi dove, quando e quanto carbone o gas o uranio bruciare. Invece, il sole brilla a proprio piacimento. Tecnicamente, il concetto si esprime dicendo che l'umanità ha bisogno di potenza, mentre invece si insiste, sbagliando, a voler dare importanza alla parola «energia». Né bisogna confondere potenza con possanza, e sbagliare dicendo: il sole forse non andrà bene per muovere un eurostar, ma magari va bene per i bisogni domestici. No: il sole non va - né mai andrà - bene neanche per accendere una lampadina dell'albero di Natale. Il fatto è tecnico. Dovremmo smetterla di installare impianti fotovoltaici, anche se fossero gratis: sono inutili. Ma gratis non sono. Qualche buontempone ama ripetere che il nucleare è economicamente non conveniente. Facciamo i conti della serva (assumendo, per comodità di calcolo, che il kWh sia quotato 10 centesimi alla Borsa elettrica): un reattore nucleare Epr (del tipo di quelli che stanno costruendo in Francia o Finlandia) richiede un impegno economico di 5 miliardi di euro, ma alla fine della sua vita certificata avrà prodotto 1000 miliardi di kWh elettrici, con un ricavo di 100 miliardi di euro. Gli stessi 5 miliardi, impegnati in impianti fotovoltaici, produrranno, nell'arco di vita di questi impianti, 30 miliardi di kWh elettrici, con un ricavo di 3 miliardi di euro, cioè con una perdita secca di 2 miliardi di euro. Solo così si spiega come mai il kWh elettrico, che alla Borsa elettrica è quotato meno di 10 centesimi, è remunerato 48 centesimi a chi lo produce da impianti fotovoltaici. A me sorge spontanea questa domanda: ma alla Corte dei Conti c'è qualcuno che li fa i conti?