Lubanga si è sempre presentato come un patriota, impegnato a contrastare il saccheggio delle ricche risorse minerarie della provincia orientale dell’Ituri da parte di ribelli e combattenti stranieri, e nega di aver costretto minori di 15 anni a uccidere membri dell’etnia Lendu durante la guerra.
Questa è invece la dichiarazione iniziale del Procuratore generale della Corte penale internazionale (Cpi): la milizia di Lubanga ha "reclutato, addestrato e usato centinaia di bambini per uccidere, saccheggiare e stuprare. I bambini soffrono ancora oggi le conseguenze dei crimini commessi da Lubanga. Non riescono a dimenticare quello che hanno sofferto, quello che hanno visto, quello che hanno fatto". Il procuratore ha precisato che i bambini venivano sequestrati a scuola e nei campi da calcio, quindi venivano picchiati, e spesso uccisi, durante l’addestramento. Le bambine venivano prese come “spose” dai comandanti della milizia.
Per Bukeni Waruzi, coordinatore in Africa del gruppo per i diritti umani Witness, oltre 30 mila bambini hanno partecipato al conflitto, molti di questi minori erano stati drogati per commettere i crimini.
In generale, le violenze etniche nella regione dell’Ituri tra gli Hema e i Lendu e le lotte tra milizie rivali per il controllo delle risorse naturali (in particolare le miniere d’oro) hanno ucciso oltre 60 mila persone dal 1999, oltre ad aver provocato centinaia di migliaia di rifugiati.
Purtroppo, appena al terzo giorno di udienza del processo (28 Gennaio), è accaduto qualcosa di inaspettato e ancora inspiegabile. Un ex bambino-soldato congolese ha infatti ritrattato la sua testimonianza contro il “signore della guerra” Thomas Lubanga, mettendo in imbarazzo la Corte penale internazionale.
Il testimone, il primo ad essere sentito (il nome e l’età non sono stati rivelati), aveva raccontato che uomini armati lo avevano portato via mentre si stava dirigendo a scuola (frequentava la quinta elementare) e condotto in un campo militare, per essere addestrato e mandato in battaglia.
Dopo la pausa pomeridiana, tuttavia, alle domande del rappresentante dell’accusa Fatou Bensouda, che cercava di ottenere altri particolari, il minore ha rovesciato completamente quello che aveva sostenuto prima. "Non è questo ciò che ho detto" ha affermato, raccontando che uomini di una organizzazione umanitaria si erano rivolti a lui e ai suoi compagni, a scuola, dicendo loro che avrebbero potuto aiutarli. "Dopo di che ci hanno fatto tornare a casa" ha aggiunto.
A questo punto, la testimonianza è stata interrotta e il processo aggiornato su richiesta dell’accusa, che ha domandato un’inchiesta su eventuali pressioni subite dal testimone e su possibili conseguenze al suo ritorno in patria.
Si tratta di un inizio bizzarro per un processo che, in ogni caso, segnerà una pietra miliare per la giustizia nel campo dei diritti umani, perché, dopo sei anni dall’istituzione del tribunale dell’Aia, è la prima volta che la giustizia si occupa esclusivamente dei minori abusati e costretti a combattere.
28 Gennaio 2009 - Scrivi un commento