Luca Poma, è notizia recente che la Food and Drug Administration - l’Agenzia statunitense per il farmaco - abbia allertato medici e genitori sugli effetti collaterali anche gravi e mortali di alcuni psicofarmaci utilizzati per la cura dei bambini iperattivi, la cosiddetta sindrome ADHD (disturbo da iperattività e deficit d'attenzione). La domanda che sorge spontanea è: ma come vengono effettuati allora gli studi di base quando un farmaco viene approvato e prima di essere messo in commercio? Ma come è possibile che sia verificabile solo a posteriori la nocività di un farmaco e i suoi effetti collaterali?
“ Purtroppo la Food & Drug Administration trae sostentamento direttamente dai produttori: la parte preponderante del bilancio di quest’ente sanitario di controllo, che dovrebbe essere totalmente indipendente, deriva invece da versamenti delle multinazionali farmaceutiche , che pagano robusti diritti per ottenere l’autorizzazione ad effettuare qualunque sperimentazione. Inoltre, la maggior parte delle evidenze cliniche circa l’efficacia dei nuovi farmaci vengono fornite alla FDA dalle stesse aziende produttrici. Tragga il lettore le proprie conclusioni…”
“I minori attualmente in trattamento sono poche migliaia, ma d’altra parte i centri per la somministrazione di psicofarmaci ai minori sono aperti da meno di un anno, quindi è possibile – purtroppo – che il numero cresca. Più che altro è interessante notare che – laddove il farmaco dovrebbe essere un trattamento riservato ai casi limite - il 100% dei bambini iscritti al registro nazionale ADHD sono attualmente in terapia con psicofarmaci”.
Esistono studi che hanno sondato la condizione psicofisica di bambini/ragazzi dopo un lustro o un decennio di assunzione di questi farmaci? Se sì, come mai medici, istituzioni sanitarie e genitori non raccolgono e fanno proprie queste informazioni?
“Si, ne esistono, diversi sono anche pubblicati – e gratuitamente scaricabili – nella sezione Ricerca scientifica del nostro portale www.giulemanidaibambini.org, già tradotti in lingua italiana. Il problema tuttavia è che il farmaco “funziona”: seda il disagio molto rapidamente, e quindi è in linea con le esigenze tipiche di questa nostra società contemporanea: tutto e subito. Il prezzo che pagheranno questi bambini sul lungo periodo pare interessare poco o niente”.
“Il problema è molto complesso, e purtroppo non può essere affrontato in una breve intervista, sennò correremmo il rischio di commettere lo stesso errore già commesso in USA: cedere alle lusinghe delle sirene dell’ “ipersemplicismo”. Possiamo tuttavia indicare delle “linee guida” generiche, tutte da approfondire, ma a nostro avviso efficaci:
1) blackbox (i riquadri neri, come per le sigarette) con i principali effetti collaterali bene in evidenza, perché com’è noto i bugiardini non li legge nessuno;
2) dichiarazione obbligatoria del conflitto d’interessi. Vogliamo sapere quali consulenze hanno dai produttori tutti i quadri e dirigenti dell’Agenzia Italiana del Farmaco e dell’Istituto Superiore di Sanità. Ciò deve valere anche per i ricercatori: quando qualcuno pubblica una ricerca scientifica che osanna lo psicofarmaco, è bene sapere se ha contratti in corso con chi quello psicofarmaco lo produce, e di quale entità;
3) più fondi per equipe multidisciplinari nelle ASL, sennò si approda allo psicofarmaco obbligatoriamente, in carenza di interventi alternativi strutturati;
4) screening medico completo obbligatorio prima di valutare la somministrazione di farmaci psicoattivi, perché molte patologie organiche “mimano” nei sintomi le patologie psichiatriche, e quindi si rischia di curare come psichiatrici problemi che invece sono pediatrici;
5) stabilire comunque un limite tassativo di tempo oltre il quale lo psicofarmaco non può essere somministrato, anche nei casi gravi, sennò si cronicizza una terapia che dovrebbe avere carattere eccezionale e temporaneo per affrontare crisi acute;
6) divieto assoluto di operazioni di marketing pro-psicofarmaco– diretto od indiretto – nelle scuole e sugli insegnanti, perché a scuola si deve studiare, e l’istituzione scolastica non può diventare l’anticamera dell’ASL;
7) più fondi per la ricerca realmente indipendente;
8) obbligo tassativo per i produttori a pubblicare anche quelle ricerche che hanno avuto esito negativo (ad oggi – detenendone il copyright – possono anche non pubblicarle);
Mi permetto di concludere con un appello ai Vostri lettori: molto fa l’informazione, alle famiglie, nella scuola, nelle ASL, etc. Aiutateci come volontari, c’è modo di supportarci anche da casa Vostra, basta avere un PC ed una connessione internet. “Giù le Mani dai Bambini”® si regge totalmente sul lavoro dei volontari: abbiamo bisogno di Voi. Grazie!”
5 Marzo 2009 - Scrivi un commento