L'Urlo

La Terra trema, teniamoci stretti

Per un’etica della solidarietà basta pensare molto a se stessi, con l’occhio spinto verso il futuro. Solo capendo che l’interesse del singolo coincide con quello della società abbiamo qualche speranza.

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di Daniela Mazzoli


Dicono che siamo un villaggio globale, che la comunicazione ha abbattuto il tempo, lo spazio e con essi ogni frontiera. Dicono che il turismo alla portata di un numero sempre più alto di persone e il commercio di cose e filosofie ci rendono cittadini del mondo, ci fanno sentire ovunque a casa. Il pianeta, dunque, è un territorio comune: possiamo mangiare sushi e kebab, indossare kefie e kimoni, sapere quel che succede in India, in Cina, in Messico, alle Bermuda.

Da questo grande sentimento popolare restano escluse le ‘meccaniche divine’ che cantava Battiato. Nessuno vuole sobbarcarsi i problemi del vicino di casa, di città, di regione, figuriamoci quelli di paesi più lontani. Tutti abbiamo letto e appreso da quotidiani e telegiornali quali gravi difficoltà abbia dovuto affrontare Napoli negli ultimi giorni, e la situazione non era né nuova né straordinaria. Eppure, dopo i primi momenti di disgusto, compassione e ribellione a uno stato di disagio inaccettabile per un Paese moderno e civile, la maggior parte delle regioni italiane ha fatto un passo indietro, si è resa indisponibile allo smaltimento dei rifiuti della città campana.

Problemi loro, sempre degli altri; problemi di camorra, di politica corrotta, di sperpero del denaro pubblico, di mancata moralizzazione degli abitanti a una coscienza ecologica. Vero. Eppure, purtroppo o per fortuna, i problemi degli altri non sono e non restano i ‘loro’. Anche se stiamo lontano, se la nostra casa profuma di fresco, se noi la facciamo la raccolta differenziata e cerchiamo di vivere nel rispetto del prossimo, anche se siamo dunque cittadini modello –ma lo siamo?- le grane del vicinato ci cascheranno addosso.

Perché? La mozzarella di bufala, prodotta con il latte munto dai bovini pasciuti con erba campana finirà sulle nostre tavole. E che foraggio sarà mai quello che cresce su un terreno di immondizia, inquinato dalle falde acquifere, avvelenato dai rifiuti tossici? Sarebbe il caso di chiederselo ogni volta che acquistiamo prodotti regionali convinti di aver fatto un buon investimento per il gusto e la salute. Se non è la bufala saranno i pomodori calabresi o le arance siciliane, l’olio pugliese o il riso piemontese. Se non si tratta di prodotti italiani la situazione potrebbe rivelarsi ancora più grave.

Se dal mercato della frutta e verdura di passasse a quello ittico allora bisognerebbe rendersi conto di quale sia lo stato dei nostri mari e fare mente locale sul numero di petroliere incidentate che scaricano tonnellate di petrolio con danni irreversibili all’ecosistema, e anche –in ultimo ma non ultimo- al nostro stomaco. Ovviamente aumentano i casi di bambini asmatici a Milano, ovviamente aumentano i casi di leucemia nel meridione, benché nessuno voglia ammettere che ci sia una immediata relazione tra condizioni ambientali e malattie.

Per stare bene non basta o non serve star bene da soli, non si può. Non c’entrano le questioni etiche, le convinzioni religiose, la cultura, l’umana fratellanza. C’è una solidarietà globale che ci costringe a far in modo che anche i cinesi prendano a cuore le regole e le rispettino, che abbiamo un codice da osservare per la tutela dei lavoratori e delle merci che producono. L’illegalità, che sia a duecento o a ventimila chilometri arriva in casa nostra, nelle nostre vite, con la stessa rapidità.

Anche questo vuol dire villaggio globale: importazioni ed esportazioni di merce e cultura, condivisione. I nostri figli cresceranno accanto a quelli dei cittadini immigrati, con o senza permesso di soggiorno: si ammaleranno con virus di importazione. Bisogna che i bambini dei polacchi, dei rumeni, dei tunisini stiano bene, che siano istruiti. Perché un giorno dovremmo vivere tutti insieme, ancora più di oggi e la salute, il benessere e il progresso delle persone e del pianeta ci coinvolgerà in modo sempre più invadente.

Non possiamo più chiuderci a chiave in piccoli monolocali, non possiamo alzare altri muri per difenderci da ciò che non ci assomiglia. Tutto è aperto, tutto è piazza, l’orizzonte è lontanissimo. L’unico modo che abbiamo di occuparci di noi stessi, ormai, è prenderci cura del mondo il cui viviamo.

14 Gennaio 2008 - Scrivi un commento
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