Ricognizioni aeree, etichettatura satellitare di esemplari, studi genetici e metodi acustici: questi gli strumenti previsti dal programma australiano per acquisire informazioni sui giganti del mare.
“La ricerca non ha bisogno di arpioni”, ha dichiarato oggi il ministro dell’Ambiente australiano Peter Garrett; sembrerebbe un’affermazione ovvia, eppure, stando ai fatti, non è così scontata.
L’alibi della ricerca scientifica, infatti, permette da tempo al Giappone di aggirare la legge ed uccidere circa 1000 balene ogni anno.
La caccia a questi grandi mammiferi ha origini antiche e solo nell’ultimo secolo gli esemplari uccisi sono stati due milioni: una cifra talmente alta da condurre molte specie vicinissimo all’estinzione.
Per porre fine a questa carneficina nel 1986 l’IWC, Commissione Baleniera Internazionale, ha sancito, con una moratoria internazionale, il bando mondiale della caccia alla balena per scopi commerciali.
Tuttavia, nonostante il provvedimento, sono ancora molte le navi baleniere che ogni anno tingono il mare di rosso.
Dal 2003, infatti, alcuni paesi, tra cui il Giappone, aggirano il divieto adducendo come giustificazione del massacro una “ricerca scientifica” ben poco credibile. In realtà da anni dietro il pretesto della scienza si cela un’operazione costosissima volta alla produzione di enormi quantità di carne destinate al consumo umano ma che, secondo i sondaggi, nessuno sembra gradire (persino la maggior parte dei giapponesi dichiara di non aver mai mangiato carne di balena).
Il gradimento dei nipponici per la carne dei cetacei sembra essere diminuito ulteriormente. Il ministro australiano dell’Ambiente ha comunicato che, secondo fonti giapponesi, quest’anno la quota di cetacei da uccidere scenderà da 1000 a 750 esemplari circa.
Considerato il divieto internazionale alla caccia per scopi commerciali, la carne di balena è una merce di contrabbando.
La corruzione del cosiddetto programma di ricerca scientifica giapponese sulla caccia alla balena è stato svelato lo scorso maggio da Greenpeace. L’associazione ha scoperto infatti che al ritorno dall’Antartide i balenieri giapponesi inviavano a casa centinaia di scatole contenenti carne di balena contrabbandata. Gli attivisti hanno prelevato una di queste scatole, che secondo la bolla di accompagnamento avrebbe dovuto contenere cartone, e vi hanno trovato carne di balena affumicata per un valore di oltre 2.300 euro.
Anche l’Australia è intenzionata a scoprire le reali motivazioni della caccia ai grandi mammiferi e a tal fine ha incluso nel proprio piano di ricerca una valutazione del programma scientifico del Giappone, che secondo Tokyo fornisce dati cruciali su popolazione, abitudini alimentari e distribuzione nell’Oceano Pacifico e nei mari antartici.
Il piano di ricerca internazionale non letale costituirà un’importantissima sfida alle navi di morte giapponesi. Peter Garrett ha invitato tutti i paesi membri della Commissione Baleniera Internazionale a partecipare a questa “eccitante nuova impresa” ed ha inoltre affermato che il suo paese accoglierà volentieri la partecipazione del Giappone.
Il governo di Tokyo però non sembra propenso a cambiare le proprie abitudini: proprio oggi è stata inaugurata la stagione della caccia con la partenza della Nisshin Maru, la principale nave baleniera giapponese. La strage continua…
16 Novembre 2008 - Scrivi un commento