“C’è parecchio da cambiare se non vogliamo fare arenare le balene nelle sabbie del deserto del Marocco, l’anno prossimo - sostiene Alessandro Giannì, Direttore delle Campagne di Greenpeace. - Per cominciare, ci vogliono segni di buona fede e responsabilità, come l’immediata interruzione di ogni attività di caccia commerciale alle balene”.
Per far progredire il negoziato è stato creato un “gruppo miniaturizzato” che oggi comincerà a ridiscutere dell’empasse e di come risolverla. E’ già in programma una riunione intersessionale che si terrà a Santiago del Cile, in ottobre, ospite del nuovo Presidente dell’IWC, Ambasciatore Christian Maquiera.
“L’unica cosa che va miniaturizzata subito è il rischio che grava sulle balene - aggiunge Giannì. - Non è chiaro il perché un gruppo miniaturizzato dovrebbe aver successo se un gruppo già piccolo ha fallito. Solo un’azione diplomatica decisa dei Paesi che dicono di essere contro la caccia baleniera, come l’Italia, può risolvere questa annosa vicenda. Intanto, ogni anno i cacciatori uccidono quasi 2000 balene!”.
Oggi sono estremamente critiche le condizioni della Balena franca, della Balenottera azzurra e del Capodoglio, tre delle specie più cacciate in passato. Eppure la carne di balena non ha mercato. Il Giappone è in perdita continua: oltre 220 milioni di dollari dall’inizio dell’era della “caccia a scopi scientifici”. Il prezzo della carne di balena è sceso da 30 a 16,4 US$/kg dal 1994 al 2006. Ci sono c.a. 4.000 tonnellate di carne invenduta nei congelatori.
Le balene rendono più da vive che da morte. Si stima, infatti, che il whale watching - l’osservazione delle balene - attiri in tutto il mondo tra 9 e 11 milioni di utenti l’anno, con un giro d’affari di 1-1,5 miliardi di dollari/anno. In Norvegia nel 2008 i turisti che sono andati a fare whale watching hanno speso oltre 4 miliardi di dollari: 1.800 volte di più del valore della carne “prodotta”. In Islanda, la stima del 2007 era di un incasso tra 20 e 40 milioni di dollari all’anno.
25 Giugno 2009 - Scrivi un commento