Il progetto di legalizzazione è stato proposto dalla Commissione baleniera internazionale (Iwc) e riguarda i prossimi dieci anni. Il motivo sarebbe tenere sotto controllo le quote di pesca stabilendo un limite annuale per ciascuno dei tre paesi.
Per il Giappone, ad esempio, che ogni anno pesca 760-930 balene tra Antartico e Pacifico, è prevista una quota di 530 balene annuali per i prossimi cinque anni (cifra che dovrebbe venire dimezzata nel quinquennio successivo). Grazie alle proteste ambientaliste però, le ultime cacciate giapponesi si sono fermate a 507 balene, un numero dunque inferiore a quello previsto dall’Iwc.
La proposta di legalizzazione non è ancora stata approvata, verrà messa al voto a fine giugno ad Agadir (in Marocco), in occasione della riunione annuale degli 88 Stati membri della Commissione.
Se da un lato la sola caccia giapponese sottrae al mare centinaia di balene, recentemente anche l’intossicazione delle acque ha fatto la sua parte. Negli ultimi tre anni 300 “cuccioli” di balena (raggiungono gli otto metri) sono stati trovati morti lungo le coste argentine. Sempre la Commissione baleniera internazionale ha recentemente lanciato un’indagine per scoprire la causa di questo massacro.
Già nel 2007 la balena australe (una specie quasi estinta nell’emisfero settentrionale e dunque protetta dal 1935) aveva registrato la maggiore mortalità da oltre trent’anni. Nell’autunno scorso è stato poi trovato nel Golfo Nuevo un numero particolarmente alto di cuccioli morti probabilmente a causa di un’intossicazione.
“A ottobre e novembre vi fu una marea rossa molto intensa nel Golfo Nuevo”, spiega il biologo Mariano Sironi, direttore scientifico dell’Istituto di Conservazione delle Balene, una delle organizzazioni che integrano il Programma di Monitoraggio Sanitario della balena australe.
Questo programma è stato realizzato da tre ong nella provincia di Chubut, che si affaccia sul Golfo Nuevo, dove si trova una delle più grandi colonie di balena australe del mondo.
Secondo Sironi le tossine che danno origine a questa marea possono essere letali per uccelli e mammiferi che si alimentano di molluschi intossicati.
Inoltre “il Golfo Nuevo si trova davanti alla città di Puerto Madryn [nella provincia di Chubut], il cui sobborgo, El Doradillo, possiede una stazione di trattamento di affluenti che sboccano nel mare”, scrive il giornale brasiliano Terramérica. Che questi affluenti abbiano qualcosa a che fare con l’intossicazione delle balene? “Non ci risulta che i cuccioli si siano alimentati in questa area.
Ma può essere che le madri dei cuccioli abbiano trasmesso le tossine attraverso il latte” ha spiegato la veterinaria Marcela Uhart, co-direttrice del Programma di Monitoraggio, che compie le necropsie.
Al contrario dei cuccioli, le madri sono costrette ad avvicinarsi alle coste durante il periodo di riproduzione, che va da maggio a dicembre (attirando così migliaia di turisti all’anno).
Sono dunque due i pericoli che minacciano il più grande mammifero della Terra. Mentre le balene australi sono colpite dall’intossicazione, tante altre specie dovranno probabilmente affrontare la caccia legalizzata. Due fenomeni ben diversi, ma entrambi di origine umana che, dal Pacifico all’Atlantico fino ad arrivare all’Antartico, compromettono il futuro delle balene.
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