Delfini balena: la mattanza danese

I grossi cetacei che popolano i mari sono tanto possenti quanto indifesi, martoriati per farne cibo, afrodisiaci, tasti per pianoforte. Si uniscono alla catena genocida che porta l’uomo a prevaricare sulle bestie spesso giocando la carta vecchia e consunta delle tradizioni, che con un piede di porco piantato sulla schiena di un delfino balena ti dice “bravo, sei diventato grande”.

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di Romina Arena


Le immagini che stanno facendo il giro del mondo sono testimonianza di uno scempio tanto disumano quanto inutile
La Danimarca, grazie al suo sistema sociale e politico, rientra nel novero dei Paesi europei più progressisti, più avanzati, più verdi, insomma… più.

La Danimarca organizza e finanzia i propri sistemi di sicurezza sociale, il servizio sanitario ed il sistema educativo secondo il principio che tutti i cittadini debbano poter beneficiare dell’aiuto dello stato indipendentemente dalla loro condizione.

La Danimarca, però, è anche il Paese dove ogni anno si consuma una delle più efferate, crudeli, raccapriccianti ed inumane mattanze di delfini balena. Nelle Isole Far Oer, che però va detto, sostanzialmente si autogovernano, la popolazione tutta partecipa, come fosse una grande festa, ad un barbaro rito di iniziazione per i giovani del luogo i quali, per dimostrare di essere diventati adulti, si accaniscono contro centinaia e centinaia di delfini balena indotti a spiaggiarsi per poi essere orrendamente colpiti con roncole, fiocine e punte contundenti di ogni genere. Il mare si trasforma in una grande cloaca a cielo aperto color rosso vivo, mentre si vedono i corpi degli animali ammassati sulla battigia orrendamente mutilati e squarciati e sulla spiaggia i popolani che strepitano e strillano per l’entusiasmo.

Le bestie vengono poi arpionate, tirate fuori dall’acqua e lasciate agonizzare. Una parte, di una mattanza che annualmente conta 2000 capi abbattuti, verrà destinata al consumo, ma la maggior parte marcisce ed è ributtata in mare.

mattanza
Le bestie vengono arpionate tirate fuori dall’acqua e lasciate agonizzare
È indescrivibile lo schifo che si prova a guardare le immagini che stanno facendo il giro e che sono testimonianza truculenta di uno scempio tanto disumano quanto inutile. Pur volendo salvare la linea antropologica che lega l’evento alla tradizione, e che quindi si radica nella stessa cultura di quel popolo, è inaccettabile il fatto che per dimostrare il virgulto della virilità si debba ricorrere ad usanze macabre in cui le vittime siano animali incapaci di contrapporre alcuna difesa e soprattutto, come nel caso dei delfini balena, siano specie protette di cui non si conosce il numero di esemplari ancora esistente.

Questo ha poco a che vedere con la dimostrazione di essere adulti, ma ha molto a che vedere con la dimostrazione di quanto l’individuo possa essere barbaro.

Il caso delle Isole Far Oer, credo, non è così conosciuto come la feroce caccia alle balene condotta dal Giappone, il massacro delle foche in Canada, la Corrida in Spagna, eppure non ha nulla di diverso da quelle pratiche. Lo stesso rituale, dell’uomo che con supponenza ed arroganza si contrappone alla bestia nella convinzione di una superiorità che lo renderebbe arbitro e padrone di quelle vite.

La faccenda ha sollevato un’alta ondata di indignazione, anche perché le immagini parlano da sole ed ogni parola è superflua, ma c’è tuttavia una sacca di resistenza che, a parziale giustificazione della mattanza, ritiene che gli abitanti delle isole prendano particolari precauzioni per ridurre le sofferenze dei cetacei, seguendo un regolamento in cui si vieta l’uso di arpioni e fiocine ed in cui si illustra chiaramente la procedura per uccidere gli animali.

mare
Il mare si trasforma in una grande cloaca a cielo aperto color rosso vivo
Secondo il regolamento, infatti, i cetacei andrebbero uccisi tranciando la spina dorsale, pratica che porterebbe alla morte dell’animale entro 30 secondi, in linea con le canoniche linee di macellazione bovina, e soprattutto porta a tranciare le principali arterie dell’animale. Così, si spiegherebbe anche il perché di tanto sangue nelle acque dei fiordi. C’è una foto, però, che attira particolarmente l’attenzione e rimescola tutto. Un ragazzotto, testa rasata e spalle larghe che brandisce non si capisce bene cosa, certo non un’arma in grado di spezzare la schiena di un pachiderma del mare del peso stimabile in tonnellate in un colpo solo. Sarà anche una caccia regolamentata, ma certo non sarà un regolamento che stimi in trenta secondi la morte di un animale in grado di ammorbidire lo scenario raccapricciante di una mattanza legalizzata.

Sembra di rivedere certe scene, quando i tonni venivano spinti nella cosiddetta “camera della morte” dalle barche per essere colpiti con il raffio ed issati sul ponte. Ma almeno allora vi era una razionalità tutta racchiusa nel motto dei pescatori, che pescando ed uccidendo cantavano: “ […]questa morte che vi diamo, ci serve per il pane che mangiamo […] ”.

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9 Settembre 2009 - Scrivi un commento
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Un lettore ha commentato questo articolo:
13/9/09 07:16, Marco ha scritto:
Bell'articolo, ma...

Oltre alla caccia alle balene condotta dal Giappone, al massacro delle foche in Canada, alla Corrida in Spagna, sarebbe il caso di denunciare apertamente la prigionia e le torture inflitte agli animali rinchiusi negli allevamenti intensivi e poi massacrati nei macelli.

Anche allevamenti intensivi e macelli testimoniano quotidianamente la supponenza e arroganza dell'uomo, che si contrappone all'altro animale (non bestia, altro animale!) nella convinzione di una superiorità che lo renderebbe arbitro e padrone di quelle vite.
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