La piattaforma petrolifera BP Deepwater Horizon è sprofondata nel Golfo del Messico lo scorso 22 aprile a seguito di un’esplosione che ha provocato ben tre fratture nelle tubature, cosicché da ormai quasi un mese ben 5 mila barili di petrolio (pari a 800 mila litri) si riversano in acqua ogni giorno e l’immensa macchia nera si allarga e si appropinqua sempre di più alle coste degli Stati Uniti.
A parte l’immenso spreco di petrolio - il prezioso oro nero che è causa e origine di guerre devastanti e complessi rapporti di potere a livello mondiale - questo incidente (non il primo nel suo genere, come noto) rischia di trasformarsi nella più grande catastrofe ecologica causata dall’uomo nella storia. L’ecosistema del Golfo del Messico sarà gravemente compromesso per moltissimo tempo: “Fra gli effetti sulle coste e quelli sui fondali ci vorranno almeno 50 anni per riprendersi dalla catastrofe”, afferma Silvio Greco, dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).
Gli Stati Uniti hanno da giorni dichiarato lo stato di emergenza e hanno messo in campo tutte le forze a disposizione, incluso l’esercito. Inoltre, il Presidente Barack Obama ha commissionato un’inchiesta per determinare le cause dell’incidente e pretende di avere i risultati entro trenta giorni. Ma il vero problema è arrestare l’avanzata della marea nera verso le coste nonché bloccare la fuoriuscita di greggio, entrambe faccende a tutt’oggi per nulla risolte.
Vari i tentativi fatti, ma i risultati sono stati scarsi, di conseguenza adesso si ipotizzano le soluzioni più varie e bizzarre. Per difendere le coste sono state poste barriere artificiali, fatte per lo più con sacchi di terra e sabbia, ma ora si parla di utilizzare anche balle di fieno. Addirittura qualcuno propone di raccogliere capelli presso i saloni dei parrucchieri, in quanto essi sarebbero in grado di assorbire il petrolio ma non l’acqua.
Altri rimedi, come la consumazione del petrolio tramite uso di solventi e di incendi controllati, si sono dimostrati piuttosto efficaci, ma molto lenti. In particolare, per appiccare fuoco è necessario che le acque siano calme e che non ci sia vento, circostanze che dal giorno dell’incidente ad oggi si sono verificate di rado. Il quantitativo di greggio così eliminato ammonta a quello che viene immesso in acqua mediamente in meno di due giorni: ben poca roba, dunque.
Per contenere e circoscrivere il petrolio all’area dell’incidente, la British Petroleum ha deciso di calare una cupola di acciaio (del peso di 78 tonnellate) nell’Oceano intorno alla piattaforma precipitata, per poi aspirare il greggio. Ma, poco dopo la deposizione dell’immenso scudo, petrolio e gas si sono cristallizzati per la bassa temperatura, ostruendo il condotto dal quale sarebbero stati poi aspirati.
La sfida principale ad ogni modo è l’arresto della fuoriuscita, ossia la chiusura delle falle nelle tubature. Anche su questo piano oramai le idee scarseggiano. Al momento si sta pensando alla possibilità di pompare spazzatura plastica (come pezzi di pneumatici e palle da golf) nella condotta rotta al fine di intasarla e bloccare la perdita. L’idea appare piuttosto peregrina, eppure a proporla è stato Thad Allen, comandante della Guardia Costiera Americana, al quale Obama ha affidato la responsabilità del coordinamento dei lavori per il contenimento del disastro in atto.
Ovviamente questa terribile vicenda riaccende il dibattito riguardo alla recente decisione del Presidente degli Stati Uniti di dare il via a nuove trivellazioni nei fondali dell’Atlantico alla ricerca di petrolio “nazionale”, al fine di liberarsi sempre più dalla dipendenza estera. Gli ambientalisti avevano già protestato, invitando il Governo ad investire quel denaro piuttosto nello sviluppo delle fonti energetiche alternative. Ma in attesa che solare, eolico e – ahi noi! – nucleare siano in condizioni di offrire il sostentamento a tutti gli USA, Obama ha ritenuto indispensabile procedere con gli scavi.
Che questa vicenda faccia prendere ancora più coscienza di come la via del petrolio debba essere abbandonata, a favore di approvvigionamento da fonti energetiche pulite e rinnovabili? Questo resta da vedere, ad ogni modo nel frattempo occorre continuare a far fronte al disastro ambientale in corso, il cui arresto appare ancora lontano dall’essere determinato. Il ricco ecosistema dei fondali del Golfo del Messico vede ogni giorno ridursi le possibilità di sopravvivere.
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