Recenti stime confermano le ipotesi di Greenpeace che la reale fuoruscita di petrolio sia di ben dieci volte più grande di quanto dichiarato da BP: ecco perché si cerca di nascondere agli occhi dell’opinione pubblica l’entità di questo disastro. "Prima avvelenano il mare con i disperdenti chimici per far sparire il petrolio - denuncia Giorgia Monti, responsabile campagna Mare di Greenepace - e adesso allontanano chi cerca di monitorare e documentare l’espandersi del disastro".
Sembra che la BP abbia veramente fatto male i suoi conti. In documenti ufficiali compilati prima di ricevere l’autorizzazione per queste esplorazioni petrolifere la compagnia affermava, infatti, che era improbabile si verificasse una catastrofe, e che in caso di disastro le 50 miglia di distanza dalla costa avrebbero reso altrettanto improbabile un interessamento della costa.
"Come volevasi dimostrare il petrolio è arrivato a terra e a nulla sono valsi i tentativi per arginarlo. È ormai sotto gli occhi di tutti che non esistono misure preventive o sufficienti tecnologie di pronto intervento: il rischio delle perforazioni petrolifere offshore è troppo alto per l’ambiente e per le popolazioni".
Eppure è di pochi giorni fa la notizia che i piani della Shell per iniziare perforazioni petrolifere in Alaska stanno andando avanti, mentre anche nel nostro Mediterraneo le richieste di autorizzazioni aumentano, soprattutto in Adriatico e nel Canale di Sicilia. "È ora che i governi - conclude Monti - abbandonino il cammino delle energie fossili e investano con decisione in energie rinnovabili".
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