Clima e salute: non ammaliamoci, curiamo il Pianeta

Più salute per tutti! Non è uno slogan elettorale ma il più urgente impegno del prossimo futuro. Il nostro stato di salute va di pari passo con quello del clima.

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di Daniela Mazzoli


Un piccolo appunto: il 7 aprile l’Organizzazione Mondiale della Sanità celebrava la giornata della salute ponendo l’accento sui cambiamenti climatici che, da qui a qualche decennio, potrebbero danneggiare lo stato fisico e psicologico degli esseri umani.

Una svista apparentemente insignificante ha posto il cambiamento climatico al centro del dibattito, come se la ‘colpa’ fosse del clima che, a un certo punto, con la caduta di un meteorite o l’esplosione del nucleo incandescente della terra, avesse deciso di andare verso un surriscaldamento progressivo e mortale per la razza umana.

Così non è. Il cambiamento climatico è dovuto all’incidenza dell’uomo sul clima: produzione di anidride carbonica in misura tale da provocare lo scioglimento dei ghiacciai, innalzamento della superficie marina, spostamento e scomparsa di specie animali, migrazione dei popoli con quel che comporta.

Insomma non è il clima a influire sull’uomo facendolo ammalare, ma è l’uomo a determinare cambiamenti climatici che fanno ammalare la Terra e ciò che contiene.

Si rischia, inoltre, nell’intento condivisibile di dedicare attenzione agli effetti che il clima produce sulle persone di medicalizzare alcuni fenomeni. La medicalizzazione, cioè la trasformazione di un malessere in patologia, sarà una mano santa, l’ennesimo buon affare per l’industria farmaceutica e una pessima prospettiva per noi. I cittadini ancora una volta saranno ridotti a consumatori e con una piccola dose d’immaginazione si può già prefigurare la comparsa, sui banchi delle farmacie, di pasticche per i disturbi legati al clima: metereopatia, stress da escursione termica, asma da gas serra, infiammazioni polmonari, inquinamento del sangue. E via di seguito.

Resta da capire se a mettere riparo a un problema grande come quello del clima bastino un paio di pillole prese prima dei pasti o se invece l’urgenza della condizione climatica piegherà gli interessi economici a quelli più grandi della collettività e dell’ambiente.

Ancora una volta bisognerebbe ripensare in maniera più ampia ed eticamente sostenibile al sistema dei mercati globali, che inducono a una produzione ‘inumana’ dei beni causando una catena di sciagure direttamente proporzionali ai guadagni.

Così come nel settore alimentare la soluzione non è quella di creare industrie produttrici di alimenti per soggetti celiaci ma rivedere il modo di produrre grano, evitando di nanizzare le spighe per poterle trebbiare meglio, riavvicinare i tempi della produzione a quelli della natura per non incidere su qualità e genetica. All’inizio del secolo i soggetti intolleranti al glutine erano 1 su 1000, oggi sono 1 su 100: 400.000 persone in Italia soffrono di una malattia ‘del sistema’.

Sui banchi della farmacia ci sono le merendine, la pasta, i biscotti, la cioccolata, e una serie infinita di altri alimenti che i ‘malati’ possono mangiare senza correre rischi. Ma quanto ‘glutine vivo’ viene aggiunto nella lavorazione del grano per ristabilirne proprietà organolettiche e aumentarne il rendimento? Quanto ha inciso l’uomo sulla produzione di un grano che non ha più molto in comune con quello lavorato dai nostri nonni?

Domande semplici, banali, che chiedono risposte altrettanto semplici invece del silenzio istituzionale che le circonda. Le malattie di cui oggi siamo vittime sono solo una conseguenza del sistema economico selvaggio in cui anche la produzione dello stuzzicadenti che usiamo distrattamente e buttiamo via in un secondo ha causato l’abbattimento di un albero in Amazzonia e l’emissione di tonnellate di anidride carbonica per arrivare nel piccolo supermercato di quartiere.

7 Aprile 2008 - Scrivi un commento
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