La prima viene dagli Stati Uniti, dove la centrale atomica di Three Mile Island ha avuto una nuova perdita di radioattività ad appena un mese dalla concessione della licenza. La centrale era già tristemente nota per l'incidente del 1979 in seguito al quale molte persone persero la vita e gli Stati Uniti, di fatto, fermarono la costruzione di nuovi impianti. Oggi l'episodio si ripete, fortunatamente in forma molto più lieve, con solo pochi operai contaminati in maniera non grave, ma con conseguenze simboliche decisamente di peso all'interno del dibattito sul nucleare.
Un'altra notizia che viene dall'America, ma che ci riguarda da vicino, è di qualche settimana fa e concerne la bocciatura da parte della Nuclear Regulatory Commission, l'agenzia nucleare americana, dei reattori Westinghouse di ultima generazione. Questi reattori non reggerebbero ad un incidente aereo e non avrebbero i requisiti minimi di sicurezza nucleare. Perché la notizia ci riguarda da vicino? E' semplice, questi sono i reattori attesi anche in Italia per il programma atomico del governo.
Proprio in Italia, però, ci sono problemi decisamente più stringenti. Solo due giorni fa Legambiente ha denunciato una perdita radioattiva nel centro di stoccaggio delle scorie di Saluggia in Piemonte. L'Agenzia regionale per l'ambiente dice che una perdita di migliaia di bequerel avrebbe contaminato il sottosuolo dell'impianto attraverso un condotto di scarico dell'impianto stesso. Lo scarico sarebbe situato molto vicino alla Dora Baltea con tutte le conseguenze che questo può comportare.
Insomma, non è per niente un bel periodo per il nucleare che tra grandi e piccoli incidenti che ne minano continuamente l'affidabilità - quest'anno la Francia per la prima volta in 27 anni torna a comprare energia proprio a causa dei frequenti guasti ai suoi reattori - e il costante e insoluto problema dello stoccaggio delle scorie, da sempre vero e proprio tallone d'Achille del sistema nucleare, sembra decisamente in ribasso.
Tutte queste notizie formano un quadro abbastanza chiaro: il nucleare è potenzialmente pericoloso sia a causa delle centrali stesse che a causa dei rifiuti radioattivi che producono. Ma non è tutto, il nucleare è anche antieconomico e poco efficace nella lotta ai cambiamenti climatici, almeno se paragonato alle energie rinnovabili. Ad affermarlo è il Wisconsin Environment, un centro studi statunitense non governativo, secondo il quale se davvero per affrontare adeguatamente l'emergenza climatica bisogna ridurre consistentemente entro il 2020 le emissioni di anidride carbonica, allora il nucleare non è la scelta da fare. Per ridurre di 6 miliardi di tonnellate le emissioni di anidride, racconta il rapporto, bisognerebbe costruire 100 impianti nucleari e tenerli in esercizio per almeno 20 anni. Con lo stesso investimento in efficienza energetica ed energia rinnovabili si potrebbe invece ottenere un risultato doppio nello stesso periodo di tempo. Tutto ciò, ovviamente, senza contare i ritardi che caratterizzano da sempre la costruzione delle centrali atomiche (il prossimo reattore nucleare negli Stati Uniti è atteso non prima nel 2016).
A volte l'evidenza della situazione ci porta a chiedere perché sia ancora necessario rilanciare certe notizie, perché continuare a spiegare come il sogno nucleare sia morto oltre 20 anni fa - anche la Francia comincia ad accorgersene - e come non ci sia ragione al mondo per calcare nuovamente questa strada. Poi arrivano le scelte anacronistiche del governo italiano, arrivano i vertici internazionali in cui i leader tentennano e il nucleare torna alla ribalta e tutto è chiaro. Ci sono interessi economici, ci sono lobby la cui esistenza è legata a doppio filo al nucleare, ma la realtà, come insegna la recente questione climatica, è che l'uomo per prendere una decisione radicale deve prima di tutto sbatterci la faccia e pagare le conseguenze di scelte sbagliate... e anche questo non sempre è sufficiente.
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