In questo senso, è particolarmente preoccupante l'affermazione di Robert Ziegler, Direttore Generale dell'International Rice Institute, secondo cui "non c'è abbastanza riso per sfamare il mondo (...) ma in particolare è difficile mantenere il prezzo del riso attorno ai 300 dollari a tonnellata, cosa che permetterebbe ai piccoli produttori dei Paesi poveri di ottenere qualche profitto e contemporaneamente ai consumatori più poveri di poterlo acquistare. Per ottenere ciò, abbiamo bisogno di produrre ulteriori 8-10 milioni di tonnellate di riso rispetto all'anno precedente nei prossimi vent'anni".
Secondo l'American Farmland Trust, solo negli Stati Uniti la popolazione aumenta - spinta soprattutto dall'immigrazione - di 3 milioni di individui ogni anno, il che si traduce nella perdita di un ettaro di terreni agricoli al minuto. L'importanza e quindi anche il valore economico della terra è di conseguenza destinato ad aumentare.
Meno terra, uguale meno cibo. Se si assume questo punto di vista, diventa quindi inconcepibile l'utilizzo di tali terreni per la produzione dei cosiddetti biocombustili, un trend produttivo che sta crescendo sulle orme dell'attuale "rivoluzione verde", ma con un costo in termini di disponibilità di derrate alimentari e di aumento della fame del mondo decisamente troppo elevato. Senza contare che anche questo tipo di pratica, peraltro considerata poco efficiente dal punto di vista energetico, concorre nell'aumentare anch'essa il prezzo del cibo.
Aumento della popolazione, diminuzione dei terreni coltivabili, biocombustibili, ma non è tutto. Molte altre sono le concause di quella che Vandana Shiva chiama la guerra del cibo. Tra queste una più di tutte merita di essere citata e analizzata: la perdita di biodiversità alimentare, dove per biodiversità s'intende "l'insieme di tutte le forme viventi, geneticamente dissimili e degli ecosistemi ad essi correlati".
Nel corso dei prossimi anni la guerra del cibo entrerà nell'agenda degli stati nazionali più di quanto non lo sia già ora, ciò che è importante è quindi che la questione salga sempre più all'attenzione della gente comune e della società civile che potranno così spingere verso soluzioni favorevoli ai popoli e non, come purtroppo spesso succede, dei baroni del profitto.
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