Gli abitanti hanno ormai preso coscienza della situazione: le loro isole vengono infatti regolarmente messe a rischio dalle maree. Prendendo in considerazione anche lo scioglimento dei ghiacciai, che farà alzare ulteriormente il livello del mare, i modelli climatici prevedono che le isole saranno inabitabili verso il 2050 o addirittura nel 2030.
Già da quindici anni l’erosione del litorale e l’innalzamento dei mari causano un restringimento delle isole. Anche le barriere coralline si stanno riducendo a causa dell’aumento della temperatura dell’acqua e con esse viene meno un ulteriore elemento di protezione della costa dall’erosione.
Alcuni effetti si vedono già: il mare inonda le case e distrugge strade e piantagioni. L’acqua potabile è contaminata da quella di mare e non può più venir utilizzata. Ma la conseguenza peggiore è forse la distruzione delle stazioni balneari turistiche che forniscono un terzo del reddito del paese.
Venti isole (su 200 abitate) sono già state abbandonate dopo lo tsunami del 2004, che ha dato ai Maldiviani un assaggio degli effetti dell’innalzamento dei mari. Su Kandholhudhoo, una delle isole maggiormente colpite, vi sono stati tre morti; i sopravissuti l’hanno lasciata definitivamente.
Il paese ha quindi deciso di contrastare questi ostacoli attraverso un programma di restaurazione del territorio. Il presidente Mohammed Nasheed ha intenzione di rinforzare le difese naturali dell’arcipelago restaurando le barriere coralline e la vegetazione costiera.
Esistono anche coralli resistenti al calore, che possono venire innestati su cornici di cemento o su strutture elettriche a basso voltaggio: in questo modo si stimola la loro crescita. Il progetto è stato studiato e verificato dallo specialista in biologia marina Robert Tomasetti del Banyan Tree Resort, un complesso balneare sull’isola di Vabbinfaru.
“Speravo si potessero ricostruire le barriere trapiantando dei coralli resistenti nelle parti più esposte,” spiega Tomasetti. “Ma per ora non siamo abbastanza equipaggiati: quindi ci accontentiamo di far crescere belle barriere per i turisti”.
La restaurazione della vegetazione costiera potrebbe invece funzionare già da ora. Kandholhudhoo ha sofferto particolarmente dello tsunami anche perché le sue mangrovie (alberi tropicali) erano state disboscate. Senza radici per fissarlo, lo strato arabile del terreno è stato trascinato via dalle onde. Le mangrovie potrebbero eliminare rapidamente questo problema (alcuni specie infatti, maturano in soli 5 anni).
Ma gli anni sono contati, e molti stimano che questi progetti di restaurazione non salveranno le Maldive. Secondo Bluepeace, un’ONG locale, ci vorrebbero delle >isole artificiali sopraelevate, sparpagliate attorno l’arcipelago. Sette di queste isole basterebbero per accogliere l’intera popolazione maldiviana.
L’idea non è così folle come sembra: già nel 2004 è stata inaugurata un’isola artificiale: Hulhumalé. Si trova a nord-ovest della capitale e a tre metri sopra il livello del mare, garantendo così di resistere fino alla fine del secolo.
Il governo Nasheed, però, non ha intenzione di costruire isole del genere, sia per i costi, sia perché si è visto che Hulhumalé perturba le correnti marine e accelera quindi l’erosione delle isole vicine.
Nasheed ha invece creato un fondo per comprare terre negli stati vicini. L’idea ha sollevato un certo scetticismo, ma secondo il presidente è l’unico modo per evitare che i Maldiviani diventino “rifugiati del clima”.
Qualunque sia la soluzione adottata, il destino delle Maldive è responsabilità di tutti. La sopravvivenza del paese più basso - e forse più bello - del mondo, dipende dalle nostre emissioni e dagli aiuti che presteremo.
2 Giugno 2009 - Scrivi un commento