La diffusione dei cellulari è in generale enorme: la media europea è giunta ormai al 119%. Al di là dei telefoni mobili, le nostre case e gli uffici sono invasi da svariate apparecchiature wire-less, ossia senza filo, come internet tramite wifi, bluetooth e telefoni cordless (cioè portatili ma a base fissa). Se è vero che esse ci hanno semplificato notevolmente la vita, risultando spesso ormai irrinunciabili, bisogna fare i conti con un effetto collaterale non trascurabile: ognuno di questi dispositivi genera onde elettromagnetiche, le quali attraversano il nostro corpo.
Non sono ancora ben noti gli effetti sulla salute umana dell’esposizione costante a campi elettromagnetici dell’entità e frequenza di quelli dovuti all’uso di tecnologia senza filo: sono in corso vari studi, dai quali però non sono state a tutt’oggi tratte conclusione definitive (o quantomeno che mettano d’accordo un buon numero di scienziati e medici). È però senza dubbi lecito prendere in considerazione la pericolosità dell’attuale situazione, visto che l’organismo umano sarebbe di natura predisposto per vivere in un ambiente dalle caratteristiche elettromagnetiche differenti.
Tramite tale rapporto, gli europarlamentari propongono un piano di azione a vari livelli, per cercare di arginare l’esposizione massiccia e per aumentare la consapevolezza dei cittadini.
In particolare, il Parlamento chiede alla Commissione Europea di fissare limiti più stringenti per le emissioni d’onde elettromagnetiche consentite ai vari dispositivi senza fili (nei protocolli GSM, DCS e UMTS). Ad oggi l’unica normativa comunitaria in vigore è una raccomandazione del Consiglio Europeo del 12 luglio 1999: essa detta i valori massimi concessi per l’esposizione a campi elettromagnetici (CEM) a basse e medio basse frequenze (da 0 Hz a 300 GHz).
I fornitori dei servizi telefonici, invece, sono invitati ad organizzarsi per condividere i trasmettitori di segnale, in modo da limitare il proliferare di antenne e impedirne il collocamento in posizioni inadeguate.
Al fine di rendere i cittadini più consapevoli, inoltre, gli Stati membri sono invitati a mettere a disposizione mappe indicanti il grado di esposizione a radiofrequenze, microonde, nonché campi dovuti alle linee di alta tensione. I produttori dei dispositivi che vanno al consumatore, invece, dovrebbero essere obbligati per legge a porre un’etichetta che dichiari se l’apparato emette microonde e quale sia la sua potenza di emissione.
D’altro canto, gli esperti degli Stati membri, in collaborazione con i rappresentanti dei settori industriali coinvolti (operatori telefonici, società elettriche, produttori di elettrodomestici e apparecchiature per le telecomunicazioni) sono sollecitati a redigere, a vantaggio degli utenti, una guida alle opzioni tecnologiche disponibili che permettano di ridurre l’esposizione a CEM di un dato luogo.
Ma la sensibilizzazione deve essere rivolta soprattutto ai più giovani, che sono ora i massimi utilizzatori delle tecnologie senza filo, per svago come per utilità.
Le intenzioni appaiono buone. Occorre però vedere quanto tempo passerà prima che queste indicazioni si traducano in direttive europee e poi leggi nazionali. A frenare i cambiamenti legislativi ci sono poi spesso le pressioni degli operatori del settore, che si appellano al fatto che non siano stati pubblicati ancora studi “conclusivi”, che diano cioè dimostrazione dell’effettiva pericolosità dell’uso di tali dispositivi tecnologici.
La più grande ricerca nel campo è stata in realtà lanciata nel 1998 proprio dall’Unione Europea e da essa finanziata con 3.800.000 euro: l’obiettivo era la valutazione di un’eventuale connessione tra l’uso del telefono cellulare e alcuni tipi di tumore, in particolare quelli del cervello, del nervo uditivo e della ghiandola parotide. Avviata nel 2000, l’analisi (chiamato Interphone) non ha ancora fornito delle conclusioni, soprattutto a causa di visioni contrastanti all’interno dell’ambiente scientifico.
“E’ difficile accettare che certi studi siano “congelati” perché gli esperti non sono in grado di giungere ad una conclusione univoca”, polemizza Frédérique Reis, “soprattutto quando è in gioco il denaro pubblico”. E la salute pubblica, aggiungeremo noi.
In attesa delle nuove normative, come anche dei risultati degli studi medici, ciascuno di noi individualmente può cercare di attuare buone pratiche quotidiane: ad esempio sconnettere dalla presa di corrente tutte le apparecchiature elettroniche e gli elettrodomestici quando non utilizzati (anziché lasciarli connessi e in “stand-by”), evitare le lunghe telefonate al cellulare e, nei limiti del possibile, non dotarsi di troppi dispositivi senza fili.
Per concludere, val la pena però sottolineare un merito dell’Italia: secondo quanto riportato in una relazione della Commissione Europea, i limiti base per la potenza applicabile a centrali elettriche e impianti fissi di telecomunicazioni, stabiliti nel nostro Paese, sono dieci volte più bassi di quelli indicati dal Consiglio Europeo nella sopra-citata raccomandazione del 1999.
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