In Val di Susa nell’autunno del 2005 il governò tentò di aprire il primo cantiere del TAV Torino – Lione, e lo fece militarizzando un intero territorio, nel tentativo di offrire una prova di forza che fosse in grado di dissuadere dalla protesta tutti coloro che da 15 anni si battevano contro un progetto profondamente avversato dalla popolazione. Decine di migliaia di valsusini di ogni estrazione politica e sociale, posti di fronte ai check point e alle manganellate gratuite diedero vita ad una vera e propria sommossa popolare che costrinse il governo a tornare sui propri passi, smantellando il cantiere e rinunciando a partire con la costruzione dell’opera.
Nel corso degli ultimi 3 anni i governi che si sono succeduti, di concerto con gli amministratori locali, hanno dato vita ad una “melina” politica che aveva lo scopo di stemperare i toni e normalizzare una Valle diventata nel frattempo sempre più refrattaria alle imposizioni calate dall’alto. Oggi l’Osservatorio Virano, creato con lo scopo di far rientrare dalla finestra quella stessa opera che nel 2005 era stata buttata fuori dalla porta, sta portando a termine un nuovo progetto (se possibile ancora più impattante del precedente) ma finora non vi sono più stati tentativi di aprire cantieri per l’alta velocità in Valle di Susa.
Il tuo libro è del 2006. Sono passati tre anni, ma resta ancora attuale… Come si sono evolute le cose da allora? In cosa il tuo libro è ancora valido e in cosa è superato dai fatti?
In linea di massima T.A.V. in Val di Susa è un libro estremamente attuale, nonostante siano ormai passati 3 anni dalla pubblicazione e mi sento di consigliarne la lettura a chiunque intenda approfondire l’argomento “alta velocità” (non solo in Val di Susa) e conoscere la cronaca e le motivazioni di una “rivolta popolare” senza precedenti nella storia recente italiana. Le informazioni contenute nel libro sono state superate dai fatti solamente per quanto riguarda la progressione dei lavori sulle tratte TAV italiane (che mi sono premurato di aggiornare nel libro successivo) e la posizione degli amministratori valsusini che si sono progressivamente allontanati dal movimento NO TAV per approdare su posizioni possibiliste nei confronti dell’opera.
Il movimento NO TAV in Val di Susa nacque agli inizi degli anni 90, grazie al grande lavoro compiuto da un gruppo di persone (esperti, tecnici, ambientalisti e normali cittadini) di buona volontà che iniziarono a produrre informazione sul territorio, mettendo a nudo sia gli impatti ambientali e sociali dell’opera, sia la perversa architettura finanziaria che stava dietro al progetto. Man mano che l’informazione creava conoscenza e dalla conoscenza nasceva consapevolezza, il gruppo continuò ad ingrandirsi, fino ad assumere le proporzioni di un grande movimento popolare come quello che ha fermato i cantieri nel 2005.
L’allontanamento dei sindaci, pur essendo stato vissuto da molti come un tradimento, non ha influito se non in maniera minimale sulla compattezza e la vitalità del movimento. Prova ne è il fatto che durante questi 3 anni di “melina politica” i comitati NO TAV sono stati più attivi che mai. Hanno raccolto 32.000 firme contro qualsiasi ipotesi di nuova linea ferroviaria in Valle, hanno acquistato a migliaia un metro quadro dei terreni che potrebbero divenire oggetto dei futuri cantieri, hanno organizzato grandi manifestazioni sempre molto partecipate, l’ultima delle quali lo scorso 6 dicembre a Susa con la presenza di 20.000 persone.
Col senno di poi credi siano stati utili le manifestazioni o hanno semplicemente rinviato l’inevitabile?
L’utilità delle manifestazioni si è dimostrata a posteriori al di là di ogni ragionevole dubbio. Se migliaia di cittadini, uomini, donne, giovani, anziani e bambini, non si fossero opposti alle ruspe fisicamente, in maniera tanto pacifica quanto risoluta, i lavori per la costruzione del TAV Torino - Lione sarebbero iniziati 3 anni fa. E oggi anziché stare qui a discorrere della contestazione ad un progetto, avremmo già incominciato a fare la conta dei primi danni e delle prime devastazioni causati dai cantieri dell’opera. Nulla è inevitabile se migliaia di cittadini sono disposti a mettersi in gioco in prima persona per evitarlo, si tratta di una verità incontrovertibile che purtroppo la maggior parte degli italiani non hanno ancora compreso.
Che rapporto c’è tra Freccia Rossa e la “vostra” Tav?
Nessuno poiché da “noi” attualmente sui binari della ferrovia esistente non transita il Freccia Rossa, bensì il TGV che è il treno ad alta velocità francese.
I principali impatti ambientali derivanti dalla costruzione dell’infrastruttura per i treni ad alta velocità variano ovviamente a seconda del territorio che viene attraversato. Nelle zone pianeggianti (come ad esempio la pianura Padana) allo scempio paesaggistico costituito da una “muraglia cinese” di cemento armato che taglia in due i territori, si aggiunge quello della cementificazione dei terreni agricoli e del pesante inquinamento derivante dai cantieri (con annesse vere e proprie discariche illegali per rifiuti tossici come accaduto in molti casi riguardo ai quali indaga la magistratura) che stravolgono profondamente il territorio.
Nelle zone montuose, come il Mugello o la Val di Susa, dove la costruzione del TAV comporta lo scavo di lunghe gallerie, gli impatti ambientali si aggravano in maniera esponenziale. Gli scavi intercettano infatti le falde acquifere, determinando molto spesso il prosciugamento di torrenti e sorgenti, devastano gli equilibri di territori montani che sono per forze di cose estremamente fragili, possono portare alla luce materiali altamente tossici (si pensi all’amianto e all’uranio presenti in Val di Susa) esistenti all’interno dei monti.
E da un punto di vista sociale?
Dal punto di vista sociale i territori attraversati dall’infrastruttura del TAV vengono declassati al ruolo di mero corridoio di transito, subendo quello che comunemente viene definito come “effetto Bronx”. Le abitazioni ed i terreni presenti sul tracciato vengono espropriati, spesso senza un congruo indennizzo, mentre le case in prossimità dell’infrastruttura perdono una parte cospicua del proprio valore. I cittadini sono soggetti alle ricadute ambientali che ho descritto in precedenza e agli effetti deleteri sulla propria salute determinati da eventuali sostanze tossiche disperse nell’ambiente. Si determina inoltre una generalizzata perdita della “qualità di vita” a causa della pesante infrastrutturizzazione cui è soggetto il territorio.
Il TAV italiano nella sua interezza è un’opera priva di qualsiasi prospettiva di vantaggio economico, dal momento che mancavano e mancano tutti i presupposti che avrebbero potuto giustificarne la costruzione. All’inizio degli anni 90 i promotori dell’opera tentarono di giustificarla (come Moretti tenta di fare ancora adesso) come una risposta al desiderio di “velocità” dei viaggiatori italiani.
Ma i viaggiatori italiani sono costituiti per oltre l’80% da pendolari che compiendo viaggi inferiori agli 80 km mai usufruiranno del servizio. Verso la fine degli anni 90 la giustificazione divenne il trasporto merci e la conseguente redistribuzione modale fra gomma e ferro, ma le caratteristiche dell’infrastruttura del TAV pongono seri limiti alla coesistenza del servizio merci e di quello passeggeri sugli stessi binari, come sta a dimostrare il fatto che fino ad oggi sulle tratte TAV già in esercizio non è mai transitato un treno merci.
In anni di crisi come quelli che stiamo vivendo, mancando sia i passeggeri, sia le merci che possano suffragare la costruzione dell’opera, i promotori stanno tentando di giustificare i cantieri del TAV come dispensatori di nuova occupazione. Nonostante sia noto a qualsiasi economista il fatto che a parità d’investimento i cantieri delle grandi opere determinano ricadute occupazionali fra le più basse in assoluto, sia sotto il profilo quantitativo, sia sotto quello qualitativo.
Per quanto riguarda la Valle di Susa l’alternativa esiste già, ed è costituita dalla ferrovia internazionale a doppio binario che attualmente attraversa la Valle per sbucare in Francia attraverso il tunnel del Frejus. Una ferrovia ammodernata di recente che sarebbe in grado di sopportare qualunque volume d’incremento di traffico (merci e passeggeri) futuro, anche se invece della recessione ci trovassimo di fronte a un boom economico.
Per quanto riguarda il resto d’Italia l’alternativa è quella di fare funzionare in maniera decente il sistema ferroviario. Investire nel raddoppio dei binari laddove le tratte sono ancora a binario unico, acquistare i treni per i pendolari che vivono quotidianamente un vero e proprio dramma, investire nella sicurezza introducendo il sistema SCMT sull’intera rete ferroviaria, investire nella costruzione di un servizio merci competitivo rispetto al trasporto su gomma, anziché smantellarlo gradualmente come invece sta avvenendo.
Lo scorso 6 marzo, nell’ambito del pacchetto infrastrutture, il governo ha finanziato il TAV Tortona – Genova, meglio conosciuto come Terzo Valico, ed il TAV Milano – Verona con 2,7 miliardi di euro. Probabilmente i nuovi cantieri dell’alta velocità verranno aperti su queste direttrici.
Sei ottimista per il futuro?
Molto moderatamente, dal momento che l’ottimismo non rientra nelle mie qualità. Sarebbe esercizio d’ingenuità pensare che la lobby del cemento e del tondino sia disposta a rinunciare a cuor leggero ad un’opera come il TAV in Val di Susa, in grado di travasare nelle sue tasche una quantità impressionante di miliardi. Sicuramente torneranno “all’assalto”, consapevoli degli sbagli commessi nel 2005, e pertanto con maggiori possibilità di riuscire nel loro intento, ma il pallino della questione resta sempre nelle mani dei cittadini.
Se la risposta della popolazione sarà forte e coesa come lo fu allora, probabilmente arriverà il momento in cui si rassegneranno. Anche in un paese come l’Italia è impensabile portare avanti 20 anni di cantieri contro la volontà di larga parte della popolazione residente, militarizzando con migliaia di uomini una valle alpina.
T.A.V. in Val di Susa
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