A Poznan, infatti, da lunedì 1 dicembre, i rappresentanti di oltre 180 paesi discutono riguardo la strada da intraprendere per giungere, entro la fine del 2009, ad un accordo che sarà approvato a Copenaghen nel dicembre prossimo e che entrerà in vigore dal 2012, anno di scadenza del Protocollo di Kyoto.
Durante la seconda giornata di conferenza, i partecipanti hanno discusso in modo particolare riguardo le richieste di sostegno economico rivolte all’Occidente dai paesi in via di sviluppo per poter attuare strategie efficaci per la lotta alla deforestazione.
A catalizzare l’attenzione di tutti è, però, almeno in questi primi giorni del meeting, il “fantasma” di Obama, le cui dichiarazioni aleggiano sul cielo della città polacca.
I progetti del "presidente eletto" hanno ridestato gran parte dell’umanità da un sonno di rassegnazione ed hanno infuso grandi speranze di un futuro migliore.
Purtroppo però l’uomo del nuovo mondo non è a Poznan, lì c’è ancora quell’altro uomo, più anziano, dell’altro mondo, quello più vecchio. In altre parole, l’America continua ad essere rappresentata da Bush, il politico che negli anni ha sempre detto “no” a qualsiasi cambiamento di rotta verso la sostenibilità ambientale.
Se gli Stati Uniti fossero una piccola isoletta sperduta chissà dove, la questione potrebbe anche non riguardarci. Il problema è che gli USA rappresentano invece uno fra gli stati più rilevanti economicamente, politicamente ed ecologicamente. Testimonianza di ciò è il fatto che un anno fa, a Bali, la proposta di “non azione” di Bush ha rischiato di vanificare due settimane di dibattiti. Alla fine, dopo una lunga notte di trattative sfociate nelle lacrime di Yvo de Boer, segretario esecutivo del summit, la situazione si è sbloccata tramite una mediazione tra Stati Uniti ed Europa: quest’ultima ha accettato di escludere dalla “roadmap” (la tabella di marcia a cui si è giunti alla fine del summit e che impegna tutti gli stati firmatari ad impegnarsi per elaborare il Kyoto-2) l’indicazione in percentuale delle riduzioni gas serra previste per il 2020 e, a tali condizioni, gli USA hanno sottoscritto l’accordo.
Quest’anno cosa succederà?
Alcuni importanti segnali fanno sperare che Stati Uniti e Cina, primi al mondo per emissioni di CO2, siano finalmente decisi a seguire una politica “verde”. Pare infatti che i due paesi si stiano convincendo del fatto che la crisi possa essere superata proprio riconvertendo l’economia nel segno della sostenibilità.
Chissà, forse questa temibile crisi è in realtà un miracolo. Fatto sta che Obama ha affermato che stanzierà 150 miliardi di dollari per le tecnologie pulite, creando 5 milioni di posti di lavoro, mentre Pechino, nel suo recente pacchetto da 586 miliardi di dollari per rilanciare l’economia, ne ha stanziati 50 per l’efficienza e le fonti pulite, 85 per lo sviluppo dei trasporti su ferro e 70 per una nuova rete elettrica, conforme all’energia da rinnovabili.
L’Italia, purtroppo, anziché vedere nella sostenibilità una risorsa, la rifiuta come un insormontabile ostacolo alla ripresa del paese. Berlusconi, infatti, ha di recente chiesto di poter rimandare il rispetto delle misure previste dal nuovo pacchetto Energia e Clima dell’UE.
Meno drastiche le dichiarazioni di Stefania Prestigiacomo, ministro dell’Ambiente che, pur mostrando ancora qualche perplessità sull’opportunità di seguire le direttive della UE, ha voluto soprattutto sottolineare l’importanza che l’impegno sia globale. Il ministro, in modo particolare, ha fatto riferimento ai “giganti della CO2 Cina, USA e India”.
Tra incontri e scontri, dubbi e speranze, è bene non dimenticare che “l’orologio scorre”, come ha ricordato a Poznan Yvo de Boer, e "gli sforzi del mondo devono cambiare marcia per riuscire a raggiungere un accordo entro il prossimo anno”.
3 Dicembre 2008 - Scrivi un commento