Il groviglio campano

Mentre il giogo della spazzatura e il timore della diossina paralizzano Napoli, ci si interroga sul piano De Gennaro e sulle responsabilità profonde di una crisi anomala.

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di Stefano Zoja


Roghi nel napoletano
Ogni minuto che passa cinque tonnellate in più di spazzatura si accatastano nelle strade di Napoli: sono 7.200 tonnellate ogni giorno, da sommare alle circa 350mila che già gravano sull’emergenza rifiuti campana. E’ il prefetto De Gennaro, il nuovo supercommissario per l’emergenza, a chiarire l’entità di un disastro ambientale che affligge salute, nervi e orgoglio della gente di Napoli. E alla spazzatura ordinaria, rivelano diverse piste seguite da magistrati e giornalisti, si aggiungono i rifiuti tossici provenienti da tutta Italia e sepolti nelle silenziose spianate campane.

Rifiuti traboccanti e liquami velenosi, stipati e occultati dentro discariche fuori norma e vicino a terreni agricoli. Le mani guantate di camorra e politica a smistare ecoballe e commissioni milionarie. Storie che sotto il Vesuvio sono note da sempre, ma che ora sono esplose davanti agli occhi dell’Italia e dell’Europa, che, allibita, minaccia sanzioni da 22mila a 700mila euro al giorno. Negli stessi giorni in cui novità politiche e giudiziarie mettono al centro della vita pubblica ancora uomini e vicende campane – e c’è chi direbbe che “tutto si tiene” –, è arrivato il momento di una cesura.

Il drastico piano concepito da De Gennaro consiste innanzitutto nell’inaugurazione o riapertura di venti discariche. Decisamente poco gradito dalla popolazione delle aree interessate, il progetto è nelle visione del prefetto necessario e insindacabile. E per comprenderne le ragioni basta guardare le immagini delle strade di Napoli, invase da cataste di spazzatura e punteggiate dai roghi appiccati da cittadini esasperati.

Ma basta citare due casi per capire il groviglio di difficoltà che il piano deve affrontare. Il caso della discarica di Pianura, vicino Napoli, è un perfetto esempio dell’incrocio tra malaffare e degrado. Di questo sito, chiuso da tempo, si doveva fare un campo da golf. Allo scoppio dell’emergenza gli amministratori locali ne avevano chiesto la riapertura, ma la ribellione degli abitanti della zona, passata dai presidi agli scontri con la polizia, ha ingolfato tutto.


Una centrale energetica a Napoli
Attualmente almeno due inchieste interessano la discarica: la prima relativa a un politico locale che avrebbe sobillato e forse pagato alcuni ultrà per creare confusione e scontrarsi con la polizia; la seconda riguarda rifiuti tossici ritrovati nel terreno della discarica: fanghi speciali, rifiuti ospedalieri, polvere di amianto, sversati con la possibile compiacenza di alcuni amministratori.

La seconda storia riguarda la discarica di Parapoti, nel salernitano, chiusa nel 2004 dopo tre anni di promesse e contese. Recentemente era stato lo stesso Presidente della Repubblica Napolitano a garantire lo smantellamento del sito. Ma ora che il piano De Gennaro ne prevede la riapertura, si è scatenata la reazione degli abitanti del paese di Montecorvino Pugliano, che hanno sprangato la cancellata d’accesso e a centinaia presidiano l’area. In questo quadro il recente accordo fra il capo della Protezione Civile Bertolaso e il sindaco del paese, per un’apertura limitata a soli venti giorni e a 80.000 metri cubi di spazzatura, appare un compromesso sbilenco.

Ma evocare l’ormai famosa sindrome “Nimby” – dall’espressione “not in my backyard”, non nel mio giardino, attribuita ai sempre e comunque contrari alla realizzazione di opere pubbliche vicino alle proprie case – in questo frangente sembra ingiusto. Perché la spazzatura campana è realmente pericolosa, per l’uomo e per l’ambiente. Ben più che una spiacevolezza quotidiana, è diventata un incubo.


Rifiuti per le strade campane

Il nemico pubblico si chiama diossina. La sostanza chimica, resa famosa dallo scandalo di Seveso, è un potente cancerogeno: già oggi in alcune aree della Campania, attigue ai depositi di materiali tossici, l’incidenza dei tumori è superiore di una volta e mezzo alla media attesa. A questo si affiancano diverse patologie minori.

La diossina si sprigiona nell’aria grazie ai roghi, e in particolare alla plastica bruciata per le strade di Napoli. Oltre alla polvere respirabile, la diossina finisce per contaminare i terreni adibiti alla coltivazione e al pascolo, arrivando per via aerea, o direttamente per infiltrazione nel suolo in prossimità dei depositi di rifiuti tossici. Si avvelenano così gli ortaggi, gli animali e i loro prodotti alimentari. Ed è difficile parlare di psicosi per il recente e drastico calo delle vendite di alimenti di provenienza campana, prima fra tutte la mozzarella di bufala.

Il pericolo è serio, anche se l’accanimento scandalistico dei media talvolta ne esagera la proporzione. L’aumento dell’incidenza del cancro per esposizione alla diossina si registra solo nel giro di diversi anni: l’effetto di pochi giorni o settimane è molto più circoscritto. Allo stesso modo si parla di proliferazione di topi, del rischio di colera o leptospirosi dovute ai cumuli di spazzatura. Per ora l’allarme sanitario non è così drammatico, e le temperature invernali contengono questi rischi.

Ma l’aberrazione campana, che da cronica si è fatta manifesta, non tollera attese o timidezze. Il piano De Gennaro, che incrocia resistenze di ogni genere, è imperfetto ma nell’urgenza dovrebbe rivelarsi efficace. Eppure, gettando uno sguardo appena più lontano, si capisce quante e quanto profonde trasformazioni occorrano nella vita pubblica campana, e quanto queste siano attese, da decenni, dai suoi cittadini.

25 Gennaio 2008 - Scrivi un commento
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