Uscito negli Stati Uniti con il titolo A case against the global economy and for a turn toward the local (Una tesi contro l’economia globale e per una svolta verso il locale) nel 1996, viene pubblicato due anni più tardi anche in Italia da Arianna Editrice con il titolo Glocalismo, l’alternativa strategica alla globalizzazione.
Il volume è curato dal compianto Goldsmith insieme a Jerry Mander, ecologista americano e fondatore dell’International Forum on Globalization, ed è impreziosito da un’interessante prefazione del decrescitista francese Serge Latouche.
Sotto la direzione dei due autori hanno lavorato numerosi collaboratori, ciascuno dei quali ha contribuito con testi e argomentazioni utili allo sviluppo del libro: possiamo trovare nomi come quello del poeta-contadino Wendell Berry o quello di Helena Norberg-hodge, ecologista svedese che racconta la spiritualità dei ladakhi e si batte per la conservazione delle identità culturali, o ancora Jeremy Rifkin, il famoso economista e attivista americano, Kirkpatrick Sale, uno dei maggiori esponenti del Bioregionalismo, fino ad arrivare al sociologo filippino Walden Bello e a Robert Goodland, economista e consulente per le questioni ambientali della Banca Mondiale.
Questa squadra ha affrontato l’argomento in maniera esaustiva e strutturata, seguendo le quattro linee direttrici che scandiscono anche i capitoli del libro.
Tutto ciò avviene nel più totale disprezzo di due fattori che dovrebbero essere di primaria importanza ma che, essendo antieconomici e secondari nella logica del profitto, vengono trattati senza alcuni riguardo: la salvaguardia dell’ambiente e la tutela della salute umana.
Dopo questa cruda ma realistica introduzione, la seconda parte – Promesse tradite – prende in esame quelle che furono spacciate in tempi non sospetti come le grandi rivoluzioni economiche, politiche, culturali e tecnologiche che avrebbero dovuto permettere all’umanità di fare il balzo decisivo verso il mito dello sviluppo perpetuo, incontrollato e infinito, ma che si sono rivelate oggi come le principali responsabili del collasso a cui sta andando incontro il nostro mondo.
Si parla così dei grandi trattati di GATT e NAFTA, accordi internazionali che non solo hanno posto le basi per il sistema di sfruttamento intensivo delle risorse che è oggi a pieno regime, ma lo hanno fatto violando palesemente tutte le più basilari norme di democrazia partecipata e sovranità popolare.
Walden Bello si occupa poi di smascherare una delle più colossali panzane che per anni ha voluto far credere che il boom che ha portato all’esplosione delle economie tailandese, filippina, indonesiana e malesiana sarebbe state il passepartout di questi paesi per l’opulento modello occidentale mentre in realtà era solamente un riflesso distorto delle speculazioni perpetrate dagli investitori d’oltreoceano.
Molto interessante è poi l’analisi curata e particolareggiata che viene dedicata ad alcune delle pratiche e organizzazioni che fungono da braccio armato del mondialismo. Il capitolo Le strutture della globalizzazione prende in esame, fra le altre cose, il volto “verde” che le compagnie transnazionali vogliono darsi grazie a politiche ambientali apparentemente rivolte alla tutela della salute del pianeta, ma in realtà mirate da un lato a ripulire un’immagine sporcata dalle peggiori nefandezze, dall’altra a tenere in vita una biosfera sempre più provata quel tanto che basta per continuare a inseguire la chimera dello sviluppo sostenibile, attraverso un preciso piano partito nel 1992 con la Conferenza di Rio de Janeiro.
Interessante e al tempo stesso inquietante è il paragrafo dedicato al MAI (Multilateral Agreement on Investment), un accordo economico multilaterale che sancisce e attua i principi cardine della globalizzazione, il tutto in gran segreto, al riparo dagli occhi di mass media (quelli non ancora asserviti a questo sistema) e opinione pubblica.
Ne Le tappe verso la rilocalizzazione si prendono quindi in esame le tesi sostenute dal Bioregionalismo, cioè costruire le comunità tenendo conto della suddivisone già operata dall’ambiente naturale e della tradizione culturale; si propone un vero e proprio programma per la difesa delle comunità locali oggi esistenti e seriamente minacciate dalla mondializzazione; si avanzano proposte in merito a opportune politiche monetarie, tributarie e doganali in grado di tutelare le economie locali; si propone un modello politico democratico per la comunità, basato sulla partecipazione, sull’autosufficienza e sulla resilienza. Il tutto passando suggerimenti mutuati nientemeno che dallo swadeshi, il programma di politica economica di Gandhi.
Nonostante sia stato scritto a metà degli anni novanta, quando il modello globale non faceva intravedere che qualche crepa e solo i più pessimisti – o lungimiranti – avrebbero potuto prevedere il collasso sistemico che si sta verificando disastrosamente oggi, Glocalismo ha centrato tutti i punti con una capacità analitica e premonitrice eccezionale, non limitandosi a fornire le coordinate della crisi della globalizzazione che si sta puntualmente verificando, ma proponendo soluzioni e modelli alternativi che oggi più che mai sarebbe utile analizzare e attuare.
Glocalismo
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