Sono trascorsi esattamente due anni da quando, nel dicembre del 2007, a Bali, in occasione della 13esima Conferenza Mondiale sui Cambiamenti Climatici, è stata fissata la fatidica data per la ratifica di un nuovo trattato internazionale in materia ambientale (dopo quello sottoscritto a Kyoto nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005), il Kyoto 2, come è stato definito il protocollo che dovrebbe indicare le misure da adottare per fronteggiare i cambiamenti climatici. L'obiettivo è quello di limitare la crescita della temperatura terrestre a due gradi centigradi, attraverso una drastica riduzione delle emissioni di gas serra.
Dal summit nell’isola indonesiana sono passati 24 mesi, scanditi ora dalle speranze ora dalla rassegnazione che in questo arco di tempo le azioni e le dichiarazioni dei grandi della Terra hanno trasmesso a tutti coloro che seguono con apprensione le sorti di questo nostro Pianeta.
Dubbi e speranze che culminano adesso nel vertice in corso nella capitale danese, illuminata dai riflettori di tutti il mondo.
Ban Ki Moon, segretario generale dell’ONU, ha espresso il proprio ottimismo dichiarando di prevedere entro il 18 dicembre (giorno di chiusura del summit), il raggiungimento di un “accordo solido ed immediatamente efficace”.
Eppure, nonostante le aspettative, la strada verso un pacifico e concreto accordo appare tutt’altro che priva di ostacoli.
A dispetto dei classici buoni propositi del giorno d’apertura, il documento non ufficiale elaborato da un circolo ristretto di nazioni – che a quanto pare include Danimarca, Usa e Gran Bretagna – ha rischiato di far saltare i negoziati. La bozza della discordia prevederebbe, infatti, alcuni privilegi per i paesi industrializzati che, secondo il documento, avrebbero diritto ad emissioni doppie rispetto ai paesi in via di sviluppo, nonché maggior potere nel gestire la crisi climatica ed i negoziati futuri. Viceversa, il ruolo dell’Onu e dei Paesi poveri sarebbe sempre più marginale.
La reazione è stata immediata. Lumumba Di-Aping, delegato sudanese rappresentante del G-77 (la coalizione degli Stati in via di sviluppo presenti al summit) ha commentato definendo il contenuto del documento “una grave violazione che minaccia di compromettere i risultati del vertice”.
Per calmare le acque è intervenuto Mr Kyoto, come da alcuni è stato soprannominato Yvo de Boer, segretario generale della Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, il quale ha spiegato che il documento in questione non costituisce una proposta definitiva ma soltanto una bozza stilata prima dell’inizio del vertice e affidata ai giornalisti solo a titolo “informativo”. Tuttavia, come prevedibile, le parole di De Boer non sono state sufficienti a stabilire un clima di concordia.
Dal G-77 al G-2, ovvero quello di Cina e Stati Uniti, i due grandi inquinatori che insieme emettono il 40% del totale di gas serra. La Cina si rivolge agli USA, chiamando in causa il presidente Obama (che proprio ieri ad Oslo ha ricevuto il premio nobel per la pace), affinché si impegnino ad aumentare gli obiettivi di riduzione di CO2. «Spero che il presidente Obama possa portare un serio contributo qui a Copenhagen», ha affermato il ministro cinese Zhenhua Xie, criticando la proposta avanzata dagli americani di tagliare entro il 2020 le emissioni del 17% rispetto al 2005.
Pechino si dice pronto a ridurre i gas inquinanti del 50% entro il 2050 a patto però che i Paesi ricchi taglino le emissioni del 25-40% entro il 2020. Intanto l’Unione Europea oscilla tra coloro che intendono mantenere la decisione di un taglio del 20% e quelli che invece premono perché si arrivi al 30. Le trattative, dunque, sono in corso ed il loro esito decreterà il successo o il fallimento del vertice, nonché il nostro futuro.
Il processo tecnico-negoziale di questa prima settimana si concluderà domani, per dare il via alla seconda fase che vedrà protagonisti i ministri e che sarà aperta formalmente martedì 15 dicembre. Successivamente, per la chiusura dei lavori, giungeranno nella capitale danese anche premier e capi di stato.
Nel frattempo, l’Organizzazione meteorologica mondiale ha trasmesso gli ultimi dati sul riscaldamento globale. Secondo il nuovo rapporto diffuso dall’Omm il decennio 2000-2009 risulta il più caldo mai registrato dal 1850, anno in cui sono iniziate le misurazioni. Fa sempre più caldo.
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