Fanno impressione le percentuali che sintetizzano la lotta alle emissioni di gas serra dei due presidenti. Obama si impegna a ridurre le emissioni del 17% entro il 2020, del 30% entro il 2025, fino ad arrivare al 42% nel 2030. Hu Jintao mette sul piatto una cifra in apparenza ancora più encomiabile: il 40-45% dell’intensità carbonica in meno entro il 2020. Impegni che hanno consentito ai due di annunciare ufficialmente e a testa alta la loro presenza a Copenhagen (quella del premier Wen Jiabao nel caso della Cina), dopo giorni di smarrimento sull’effettiva volontà dei due principali paesi inquinatori (insieme producono il 40% del totale globale delle emissioni) di fare qualcosa per il clima.
Tuttavia, a uno scrutinio appena attento, gli impegni di Obama e Hu Jintao si rivelano molto meno convincenti. Gli Stati Uniti prendono come anno di riferimento sul quale calcolare i tagli alle emissioni il 2005, diversamente dai negoziatori che si confrontano sul dopo-Kyoto, che prendono come parametro il 1990. Dal momento che le emissioni globali – e americane – sono cresciute tra il 1990 e il 2005, la base di calcolo degli Stati Uniti è ben più generosa. Se infatti le promesse americane vengono riesaminate sulla base dei valori del 1990, si vede che il 17% del 2020 diventa un 4%, il 30% del 2025 passa al 18%, mentre nel 2030 non saremo al 42% ma al 32% di emissioni in meno. Gli Stati Uniti si sono scelti regole del gioco diverse dal resto del mondo.
Ancora più personali sono i parametri scelti dalla Cina. Hu Jintao, oltre ad avere anch’egli preso come riferimento il 2005, ha parlato di riduzione dell’‘intensità carbonica’ anziché delle emissioni complessive. L’intensità carbonica è la quantità media di emissioni di CO2 rilasciate per la produzione di un’unità di prodotto interno lordo. Impegnarsi su questo parametro significa volere migliorare la propria efficienza energetica. Hu Jintao si propone di farlo nella misura del 40-45% entro il 2020. Ma dal momento che il pil cinese crescerà decisamente nel prossimo decennio, si avrà anche un aumento complessivo delle emissioni, parametro sul quale la Cina, infatti, non prende impegni.
Barack Obama e Hu Jintao sono spinti da problematiche differenti a smorzare l’impegno sul clima. Le pastoie del Congresso, legato a sua volta legato alle lobby industriali, rallentano l’azione riformatrice del presidente americano, che vorrebbe probabilmente spingersi più in là. Hu Jintao, invece, non può e non vuole rischiare di limitare la crescita economica cinese, impetuosa ed energivora. Né è disposto a pagare il prezzo prevalente di un inquinamento che i paesi industrializzati hanno stratificato nei decenni scorsi.
Se l’impegno dei due paesi ha dunque rincuorato chi temeva che Copenhagen sarebbe stata spogliata di ogni efficacia, restiamo ancora molto lontani dallo sforzo che la comunità scientifica chiede. Si vedrà se la conferenza di Copenhagen saprà produrre una sufficiente pressione per rivedere al rialzo le cifre dell’impegno.
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