Sicuramente male. Eppure senza accorgercene riversiamo questo identico atteggiamento su altri nostri simili. Un esempio abbastanza comune sono i numerosi delfinari sparsi nel mondo. Per giustificare programmi di educazione e di ricerca su questi splendidi animali, si tollerano e si ricercano più che mai spettacolini stupidi e pet-therapy di vario genere, condannando alla cattività, alla segregazione e alla schiavitù esseri intelligenti e sensibili.
I dati sono davvero raccapriccianti. Mentre in natura i delfini percorrono ogni giorno chilometri e chilometri in mare aperto in compagnia di altri simili, nella vasche dei delfinari possono muoversi in uno spazio di 80 metri quadri ciascuno, considerando che ognuno di loro ha una lunghezza media di 3-4 metri circa. Questo nella migliore delle ipotesi; non sempre, infatti, tali misure corrispondono a realtà.
Sebbene dal 1973 siano entrati in vigore le convenzioni CITES (Convention on International Trade of Endangered Species) non sempre queste vengono applicate correttamente e scrupolosamente.
Non si capisce quale tipo di informazione o di conoscenza veritiera a scopo di ricerca si possa ricavare da questo stato di sopravvivenza, per animali che sono abituati a tutt’altri ambienti e stili di “vita”.
La verità è che lo scopo effettivo dei delfinari è quello di racimolare soldi in nome di una ricerca a vantaggio di alcune specie che, effettivamente, avrebbero bisogno di essere salvaguardate, protette e tutelate. Sicuramente non in questo modo.
La vita media di un delfino è di circa 45 anni. La metà dei delfini catturati in mare e poi intrappolati nelle vasche muore entro due anni, mentre chi sopravvive nella maggior parte dei casi non arriverà oltre cinque anni a seguito di malattie che sorgono per i malessere legato alla vita in vasca.
Immaginiamo una persona costretta ad uno stato di segregazione totale in modo improvviso. Quali saranno gli effetti di questa nuova condizione?
Come nel nostro caso, anche molti delfini dopo qualche tempo manifestano casi di autolesionismo e aggressività contro i compagni e gli addestratori.
Il degrado delle strutture, l’isolamento come “punizione”, diverse inosservanze delle norme che dovrebbero regolare il corretto funzionamento di questi grandi centri, tra cui il livello di cloro che causa disturbi alla vista degli animali, e l’utilizzo dello stimolo della fame come tecnica di condizionamento per lo spettacolo, sono alcuni dei tanti maltrattamenti che, quotidianamente, vengono inflitti a queste innocenti creature.
Sebbene non venga utilizzata aggressività fisica, poiché non si può costringere un animale selvatico a fare cose innaturali senza violenza, i delfini saranno soggetti a maltrattamenti psicologici che li portano, in casi estremi, a compiere dei veri e propri suicidi.
È il caso del famigerato Flipper, il protagonista della serie televisiva degli anni ’60, che per asfissia auto-indotta si è lasciato morire tra le braccia del suo addestratore, Ric O’Barry.
Da allora Ric O’Barry è diventato un attivista mondiale per gli animali e si batte contro i delfinari.
Ritornando a noi, non è necessario diventare attivisti a livello mondiale per salvare queste meravigliose creature dalla insensatezza umana. Il nostro divertimento non si può basare sul maltrattamento di altri esseri viventi. Basta solo essere coscienti di questo e non portare i nostri figli in questi circhi acquatici.
Così saremo sicuri di non contribuire alle leggi assurde che regolano e consentono la sopravvivenza di queste strutture.
29 Maggio 2009 - Scrivi un commento