Entrambe le giornate, però, sono state comunque ricche e piene di sorprese.
Il dottor Antonio Celona e la dottoressa Giorgia Comparetto (per noi semplicemente Antonio e Giorgia) hanno tenuto infatti lezioni sia al mattino che al pomeriggio, ed ogni argomento affrontato si è rivelato stimolante e arricchente anche per chi come me non ha una formazione da biologo marino.
Nelle pause tra una lezione e l’altra si passeggiava sul mare, si gustava un panino o un arancino da Don Pino (leggendario barista dell’isola) o si stava sul terrazzo del Centro Vela a prendere il sole e chiacchierare.
Ma veniamo alle “scoperte” di questi due giorni.
I tursiopi e i delfini sono esseri straordinariamente intelligenti.
Il rapporto tra cervello e scatola cranica di un delfino comune o di un tursiope è superiore persino a quello dei primati ed inferiore al solo essere umano. Sono quindi animali molto intelligenti, dotati di un linguaggio complesso, di relazioni sociali intricate ed affascinanti, di comportamenti adattabili e imprevedibili. Un pescatore intervistato da Antonio ha affermato con certezza e profondo sconcerto che un delfino, dopo avergli rubato ancora una volta il pesce dalla rete, ha reagito ad un insulto lanciatogli da un altro pescatore uscendo col corpo fuori dall’acqua e schernendo i pescatori con “gesti e versi” inequivocabili… Al di là dell’aneddoto, è dimostrata scientificamente la capacità di questi animali di adattarsi alle novità che vengono introdotte nel loro mondo sfruttandole opportunisticamente con astuzia e rapidità.
Il nonno del delfino? Un cane
Come molti sanno i cetacei sono mammiferi di terra che ad un certo punto hanno “deciso” di trasferirsi in acqua. Il progenitore di balene e delfini ha iniziato il suo cammino verso le razze attuali circa 55 milioni di anni fa. A quel tempo assomigliava ad un cane. Sembra impossibile, ma è così.
La prima distinzione che contraddistingue oggi i mammiferi marini è quella tra Misticeti (balene e balenottere) e Odontoceti (delfini comuni, tursiopi, stenelle e molte altre specie). La differenza principale tra i due gruppi di animali è data dalla “dentatura”: mentre i primi hanno i fanoni (una specie di setaccio con il quale trattengono il krill e altre forme di plancton in bocca) e non mangiano pesci, i secondi hanno i denti, che sono tutti uguali e non servono per masticare, ma solo per bloccare la preda e poi risucchiarla in gola.
Un aspetto interessante degli Odontoceti è dato dal fatto che non dormono mai. Delfini e compagni sono coscienti 24 ore su 24, tranne per dei brevissimi momenti (inferiori al minuto) in cui si “rilassano” galleggiando a pelo d’acqua.
Tursiopi: maschi da una parte, femmine dall’altra!
Qui a Lampedusa vivono in modo stanziale molti tursiopi (per i profani una variante di delfino). Ogni tanto viene avvistato qualche gruppo di delfini comuni (che in realtà, a dispetto del nome, sono molto più rari dei tursiopi) e, nei periodi giusti, qualche balenottera comune (esseri immensi e magnifici che finora non abbiamo avuto la fortuna di incontrare).
Antonio e Giorgia ci hanno spiegato che i tursiopi sono esseri molto sociali che generalmente vivono in gruppo. La struttura è matriarcale: un gruppo è quindi formato o da soli maschi, o da femmine con piccoli. Quando un piccolo diventa adulto, se è femmina resta nel gruppo, se è maschio viene allontanato e va a cercare altri maschi con cui formare un nuovo gruppo.
Un maschio adulto si relaziona ad una femmina solo al momento dell’accoppiamento. Le cure parentali (quelle della madre verso il piccolo) durano diversi anni. I tursiopi partoriscono quasi sempre un solo figlio. Di conseguenza, se il piccolo non muore, un tursiope femmina si accoppia generalmente ogni 4/5 anni.
Un altro aspetto affascinante di questa specie è dato dal fatto che spesso, in un gruppo, il piccolo è cresciuto dalla madre e da una “zia”, un altro membro del gruppo che assiste la madre nell’educazione e nella protezione del piccolo. Se la madre muore, un altro membro del gruppo accudisce il figlio acquisendo persino la capacità di allattarlo.
Tutto ciò che buttiamo, prima o poi, finisce in mare
Antonio non ha dubbi: il mare è la destinazione finale di ogni nostra azione sconsiderata. Come? È presto detto.
Vado in bagno, tiro lo sciacquone, il contenuto finisce nella fogna, che finisce in un fiume, che sfocia in mare. Ho una fabbrica che emette sostanze inquinanti, queste finiscono nell’atmosfera e, tramite la pioggia, in mare.
C’è una strada trafficata, le particelle di inquinamento si depositano sull’asfalto, quando piove la pioggia lo lava, finendo nei fiumi e poi in mare. Non a caso, il Po è la fonte più inquinante dell’intero Mediterraneo…
Ed ecco che detersivi, rifiuti organici, scarichi delle fabbriche ed ogni cosa finisce nel nostro amato Mediterraneo. Qui , mercurio, piombo, arsenico ed altre sostanze inquinanti di vario tipo vengono ingerite dai pesci e successivamente dai cetacei o dagli esseri umani.
Delfini e uomini, quindi, sono entrambi vittime dell’inquinamento. L’unica differenza è che i primi non lo causano.
Una situazione terribile che fa rabbrividire. Eppure niente e nessuno sembra intenzionato realmente a cambiare le cose.
Quando passeggiamo in spiaggia e ci sporchiamo i piedi di catrame, ad esempio, crediamo che questo sia prodotto da un fenomeno naturale. In realtà, è uno scarto delle petroliere. Queste navi, infatti, dovrebbero essere sottoposte dopo ogni viaggio ad un lavaggio molto costoso. Per abbattere i costi, invece, molti “capitani” preferiscono andare al largo, in acque internazionali, e sciacquare più volte le cisterne in mare.
Benvenuto catrame, addio delfini, addio esseri umani sani.
Lunga vita, cetacei avvelenati e cetacei spiaggiati
Un tursiope vive circa 40 anni, un’orca 70, una balenottera può arrivare persino a 90…. Questo almeno in condizioni ideali. In realtà il degrado dell’habitat generato da forme di inquinamento sempre più pesanti ed invasive causa sempre più frequentemente il fenomeno dello spiaggiamento dei cetacei.
Contrariamente a quanto si pensi, i cetacei non finiscono spiaggiati perché hanno perso l’orientamento. La situazione è decisamente più complessa. Essendo mammiferi, i cetacei quando sono in difficoltà o non si sentono bene cercano fondali bassi per potersi appoggiare sul fondo e allo stesso tempo respirare mettendo lo sfiatatoio fuori dall’acqua.
A quel punto, però, basta che la marea cambi rapidamente o che le loro condizioni peggiorino e questi animali non riescono più a riprendere il largo. Finiscono bloccati sulla sabbia dove il peso del loro corpo, non più “alleggerito” dall’acqua, schiaccia i loro organi danneggiandoli prima e uccidendoli poi.
Gli spiaggiamenti, oltre che dalle sostanze inquinanti, possono essere causati anche dall’inquinamento acustico generato dai sonar, dai pozzi off shore o più in generale dal traffico nautico (che miete numerose vittime anche a causa di quelli che Antonio definisce sprezzantemente i “naviganti della domenica” che feriscono o uccidono delfini e compagni guidando in modo sconsiderato barche a motore o gommoni).
Per un cetaceo, infatti, l’emissione e la percezione dei suoni è fondamentale. La prima cosa che una madre insegna ad un piccolo è il cosiddetto fischio firma, un suono che caratterizzerà per tutta la vita un singolo animale (a questo proposito è interessante notare che diverse popolazioni e diversi sottogruppi elaborano delle specie di dialetti specifici).
Caccia alla balene e catture accidentali
L’impatto antropico sui cetacei è quindi purtroppo molto variegato. Oltre a quanto descritto finora, non dobbiamo dimenticare l’uccisione di migliaia di cetacei da parte di giapponesi e norvegesi che cacciano soprattutto le balene a fini alimentari e di “ricerca scientifica”.
Il tema della caccia alle balene è molto complesso ed è stato più volte trattato dal nostro giornale. Qui vogliamo solo ricordare che esiste una commissione internazionale (IWC) chiamata a decidere sulla caccia alla balena. Questo tipo di caccia è stato bandito da quasi tutti i paesi del mondo. Il Giappone, però, riesce regolarmente a fare approvare la caccia grazie al voto dei paesi più piccoli o più poveri che vengono letteralmente comprati dal Sol Levante. La Norvegia, unico altro grande Paese che ancora caccia le balene, lo fa soprattutto per motivi commerciali: vende infatti la carne di balena al Giappone…
Un’altra quota di cetacei viene massacrata da alcuni tipi di imbarcazioni dedite alla pesca. In particolare le tonnare che operano nel pacifico pescano ogni anno “involontariamente” migliaia di cetacei che restano quindi uccisi…Terminiamo qui il resoconto di questi due giorni di workshop. Ragioni di spazio ci impediscono di dilungarci ulteriormente. Resta la meraviglia per questo mondo affascinante e misterioso e lo sconforto per l’incredibile ottusità che sembra ormai congenita nell’essere umano.
Osserviamo i delfini, pardon i tursiopi, e rimaniamo affascinati dalla loro grazia e dalla loro bellezza. Ma non è per generosità o compassione che dobbiamo smettere di distruggere il loro ecosistema. Ogni cosa è collegata. La terra è un unico grande organismo. E se continuiamo ad infettarlo i primi a pagarne le conseguenze saremo, senza ombra di dubbio, noi.
8 Aprile 2009 - Scrivi un commento