I partecipanti, oltre agli Stati Uniti, saranno: Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, India, Indonesia, Italia, Messico, Russia e Sudafrica.
“Il Forum faciliterà un dialogo aperto tra i paesi chiave del mondo industrializzato e in via di sviluppo”, ha dichiarato la Casa Bianca, “e farà progredire l’esplorazione di iniziative congiunte sull’energia pulita e la riduzione delle emissioni inquinanti.” L’obiettivo immediato di tali incontri tra i leader mondiali è di gettare le basi per un accordo condiviso sulla politica climatica da seguire in vista dei negoziati ONU che si terranno a Copenhagen il prossimo dicembre, in occasione dei quali si andrà a scrivere un nuovo protocollo che dovrà sostituire quello di Kyoto.
L’ecologia – soprattutto l’aspetto energetico e i cambiamenti climatici – è una tematica tenuta molto in considerazione dal nuovo presidente statunitense, come si evince dal programma di governo presentato. “Per decadi Washington ha fallito nel risolvere il problema della dipendenza dal petrolio”, si legge nell’introduzione, “a causa di parzialità, eccessiva influenza di interessi particolari e di politici che preferivano proporre trucchetti per andare avanti nell’arco di tempo del governo piuttosto che soluzioni di lungo termine in grado di avvicinare l’America all’indipendenza energetica.”
Parole molto chiare, come nessuno aveva osato proferire prima. Abbiamo visto Al Gore battersi per la salvaguardia del pianeta e additare gli Stati Uniti come uno dei maggiori responsabili dell’emissione di gas serra, ma da una posizione esterna al Governo, in un momento in cui invece l’amministrazione Bush era del tutto sorda ai richiami al senso di responsabilità provenienti dai Paesi europei e non solo.
Il programma è complesso e articolato e si caratterizza proprio per il fatto che l’intento della Casa Bianca è sì quello di agire tempestivamente, ma anche di gettare le basi per profondi mutamenti nella politica energetico-ambientale, da attuarsi e portare avanti in un arco di tempo superiore a quello dettato dai limiti elettorali. Esso è stato stilato a quattro mani con Joe Biden, il consulente governativo in materia.
Il piano, chiamato “Nuova Energia per l’America”, prende le mosse dalla constatazione che la nazione deve affrontare due sfide fondamentali: la dipendenza dal petrolio straniero e il cambiamento climatico globale, entrambi dovuti all’attuale dipendenza dell’economia del paese dai combustibili fossili. Pertanto in primo luogo deve essere affrontata la questione clima impegnandosi a ridurre le emissioni di anidride carbonica dell’80% entro il 2050, tramite l’attuazione di un programma definito in gergo “cap and trade”: in pratica – fissata una soglia di emissioni “lecite” - tutti i crediti di inquinamento verranno messi all’asta, di modo che ogni industria paghi per ogni tonnellata di gas serra rilasciati nell’ambiente, anziché essere assegnati alle compagnie sulla base dell’apporto alle emissioni dato nel passato.
Parte delle entrate provenienti dalla vendita dei diritti d’inquinamento verranno impiegate dall’amministrazione per fare investimenti che portino ad una minore dipendenza degli Stati Uniti dal petrolio straniero e ad un rapido sviluppo delle tecnologie a bassa emissione di carbonio. In vista di ciò, 150 bilioni di dollari saranno impiegati, nell’arco di 10 anni, per “costruire un futuro ad energia pulita”, ossia nello sviluppo delle rinnovabili, nella promozione dell’efficienza energetica, nella ricerca nel campo di nuovi carburanti ecologici e di motori ibridi.
Tutto ciò porterà alla creazione di 5 milioni di nuovi posti di lavoro, definiti “verdi”, per i quali opportuni corsi di formazione sono previsti. Sta a cuore infatti al Presidente che il lavoro venga svolto all’interno dei confini nazionali, senza far ricorso ad appalti verso l’esterno. Ciò sia per garantire posti ai connazionali, sia per coadiuvare l’obiettivo del raggiungimento di un’indipendenza dall’estero, in campo energetico, il più possibile marcata.
Ma la diversificazione di sorgenti non vede un futuro esclusivamente verde, infatti si continuerà a far ricorso alle centrali a carbone come a quelle nucleari. L’amministrazione Obama, però, intende incentivare gli investimenti privati nella ricerca di soluzioni per la realizzazione di impianti a carbone ad emissioni zero (di gas serra). Quanto al nucleare, consci dell’impossibilità di raggiungere gli spinti obiettivi climatici posti se si elimina tale fonte di energia, Obama e Biden ritengono che, prima di prendere in considerazione un’espansione del nucleare, occorra risolvere i problemi inerenti la sicurezza degli impianti come dei materiali utilizzati (nei confronti del terrorismo internazionale) e dello stoccaggio delle scorie.
Sappiamo però bene che gli Stati Uniti sono fra i paesi che sprecano maggior energia al mondo, ossia consumano più di quanto abbiano bisogno, a causa del loro stile di vita e della scarsa efficienza energetica dei loro edifici e mezzi di trasporto.
A prenderne atto è ora anche l’amministrazione, che anziché passar sopra questa nota realtà, si è posto l’obiettivo di ridurre la domanda di elettricità, entro il 2020, del 15% rispetto ai valori attesi dal Dipartimento di Energia. Secondo le stime, ciò porterà, di conseguenza, al risparmio di 130 bilioni di dollari e ridurrà le emissioni di anidride carbonica di svariati bilioni di tonnellate.
Per ottenere ciò si agirà, in primo luogo, sui parametri di efficienza energetica delle costruzioni: gli edifici di nuova realizzazione dovranno avere un’efficienza del 50% maggiore rispetto a quella dei fabbricati attuali, mentre quelli già esistenti dovranno essere gradualmente portati ad un incremento del 25% entro il 2030. A dare il buon esempio sarà il governo federale, il quale si affretterà a mettere al passo con i nuovi standard tutti gli edifici federali presenti o in programma di costruzione.
Sarà inoltre dato impulso allo sviluppo della cosiddetta “rete intelligente”, vale a dire un sistema su vasta scala che integri le varie fonti di energia, quali solare, eolico, biogas e idroelettrico, andando a prelevare energia dove è disponibile per trasferirla ove necessaria. Essa permetterebbe di aggirare il problema dato dal fatto che le fonti rinnovabili, per loro natura, non garantiscono un’erogazione continua e costante. La rete intelligente amministrerebbe i flussi, basandosi sul fatto che in ogni momento c’è qualche zona in cui batte il sole o soffia il vento o l’acqua scorre, sebbene per ciascuna di esse l’intensità sia variabile nell’arco della giornata o delle stagioni.
Un programma complesso e ambizioso, senza dubbio, che lascia ben sperare, anche se poi spesso quello che si scrive non si traduce in realtà. Il nuovo Presidente degli Stati Uniti appare però molto deciso e incisivo: sembra dunque che una nuova era ecologico-energetica stia davvero arrivando per l’America. Non mancheremo di seguire l’attuazione del programma nei prossimi mesi, che saranno decisivi per le consulte internazionali in vista del nuovo trattato di Copenhagen.
“Le recenti aperture del presidente Obama pongono le premesse per un accordo sui cambiamenti climatici che sia realmente condiviso”, afferma Prestigiacomo. E’ evidente, a parere della ministra, “la volontà dell`amministrazione Obama di procedere in maniera spedita sulla strada della Green Economy, seguendo in questo modo il percorso che l`Europa ha già iniziato da tempo.”
Gli Stati Uniti si allineano all’Europa, dunque. O forse presto sarà l’Europa a dover trarre ispirazione dalla politica di Obama?
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