Per il materialismo, che è poi l’ala “ufficiale” della scienza meccanicista ed ha oggi un notevole séguito in Occidente, l’anima non esiste ed il pensiero si riduce a una specie di prodotto del cervello: nessuna considerazione per la mente cellulare-sistemica conseguente alla persistenza temporanea di un sistema altamente complesso, anche dopo una degenerazione cerebrale.
Tali concezioni richiedono come necessaria la definizione precisa del momento della morte, cosa di cui oggi la scienza medica dubita fortemente.
Alla luce delle conoscenze attuali della scienza -cioè della psicologia interpersonale, della teoria dei sistemi e della fisica quantistica- entrambe le posizioni sono piuttosto insostenibili. Si tratta, come al solito, di quelle concezioni contrapposte tanto comuni nella nostra civiltà attuale.
Oggi sembra più logico pensare in termini di mente-psiche-spirito: un’entità variabile e senza confini definiti, che si modifica nel tempo ed è caratteristica di tutti i sistemi oltre un certo livello di complessità. Sarà bene anticipare subito che tutti i sistemi viventi hanno un livello di complessità molto elevato. E’ evidente che, in questo quadro, affermare che l’uomo ha l’anima e gli animali “non ce l’hanno” è privo di qualunque significato. Tutti i viventi sono senzienti e tali sono anche molte entità naturali (ecosistemi, complessi di viventi, esseri collettivi, ecc.).
Nel quadro di una visione del mondo ispirata all’ecologia profonda, il problema della contrapposizione uomo-animali non esiste perché l’uomo è un animale a tutti gli effetti: non c’è alcuna separazione, né confine.
Recentemente è stato pubblicato in italiano il libro di uno scienziato olandese (R.Corbey – Metafisiche delle scimmie – Bollati Boringhieri, 2008), in cui, peraltro, si ricerca quali possano essere le caratteristiche che dividono l’umano dall’animale. In un recente passato si è sempre dovuto spostare questo confine, man mano che si accumulavano nuove scoperte e nuovi studi, ma infine il tentativo di mantenere comunque una divisione è fallito: il confine non esiste.
In questo quadro anche il problema etico del riscatto dalla sofferenza da parte degli esseri senzienti non-umani non esiste. Il riscatto dalla sofferenza avrà la stessa storia per gli umani e per i non-umani, essendo della stessa natura. Gli altri esseri vivono la nostra stessa avventura. Niente scompare, tutta la sofferenza dovrà risolversi, i conti torneranno per tutte le entità naturali. Questo dà anche ragione di una forma di reincarnazione, anche se di tipo non necessariamente individuale, l’unico che la cultura occidentale attuale sembra disposta a comprendere, attribuendolo di solito a concezioni orientali o esotiche. Del resto, se ci si interroga su cosa ci accadrà dopo la morte, è logico anche domandarsi cosa eravamo prima della nascita.
Viene comunque spontaneo chiedersi se sia più materialista una visione del mondo in cui tutto è soltanto materia inerte, tranne una sola specie “privilegiata”, o un sottofondo di pensiero in cui qualunque entità naturale evidenzia lo spirito, la mente o l’Anima del mondo.
E’ nota la grande influenza sulla mentalità occidentale del pensiero di Cartesio, che ha aggravato notevolmente la visione del distacco totale fra spirito e materia, fra umani e mondo naturale.
Interessante è poi questo pensiero di Diderot, soprattutto perché proviene dal periodo dell’Illuminismo:
“Vedi questo uovo? Grazie a lui si possono rovesciare tutte le scuole di teologia e tutti i templi della Terra. Che cosa è questo uovo? Una massa insensibile prima che il germe vi si sia introdotto… Come farà questa massa a passare ad un’altra organizzazione, alla sensibilità, alla vita? Col calore. Ma chi produrrà il calore? Il moto? Quali saranno gli effetti successivi di questo moto? Invece di rispondermi, siediti, e seguiamoli attimo per attimo con i nostri occhi.
Dapprima c’è un punto che oscilla, un filetto che si estende e si colora; si forma della carne, un becco, la punta delle ali, occhi, zampe che cominciano ad apparire; una materia giallastra che si divide e produce degli intestini; è un animale… Cammina, vola, si irrita, fugge, si avvicina, si lamenta, soffre, ama, desidera, gioisce; ha tutte le tue caratteristiche; compie tutte le tue azioni.
Ascolta e avrai pietà di te stesso; capirai che, per non ammettere una supposizione semplice che spiega tutto, la sensibilità, proprietà generale della materia, o prodotto dell’organizzazione, rinunci al senso comune e ti sprofondi in un abisso di misteri, contraddizioni, assurdità”. (Da La Nuova Alleanza, di Prigogine-Stengers).
“La visione ideologica che ci fa credere unici e diversi cioè inconfondibili e migliori di tutti gli altri esseri viventi sul pianeta, è solo un curioso delirio di grandezza”. (Fabio Ceccarelli)
Quando si esaminano le affinità fra umani e altri animali di solito ci si limita a parlare di esseri senzienti a noi molto simili ma tuttora viventi. Se consideriamo anche esseri del passato (Homo habilis, uomo di Neanderthal, ecc.), le assurdità delle concezioni correnti diventano ancora più evidenti.
Esseri come gli Australopiteci o l’Homo erectus si sono estinti da poche centinaia di migliaia di anni, tempo insignificante nella scala complessiva della Vita. Il fatto che questi ominidi siano scomparsi è del tutto contingente. Se fossero viventi, la nostra cultura, a seconda del parere di qualche istituzione, potrebbe considerare la caccia a questi esseri come uno sport, o chiuderli nelle gabbie degli zoo, oppure vedere l’uccisione di un ominide come omicidio volontario.
Anche il linguaggio abituale è improprio perché l’uomo è un animale.
Il bonobo, o Pan paniscus, dovrebbe chiamarsi Homo paniscus: le differenze con l’Homo sapiens sono minime. Dobbiamo liberarci da quell’antropocentrismo che caratterizza la nostra cultura ed è una delle cause a monte che hanno provocato la spaventosa situazione ecologica del Pianeta.
Gli altri animali soffrono, amano, sono coscienti. Qual è la facoltà che consente di attribuire dei “diritti soggettivi”? Se si trattasse di qualche forma di coscienza o consapevolezza, non si spiegherebbe con quale logica vengono riconosciuti diritti alle persone in coma o agli embrioni umani e, invece, non si reputa degno di considerazioni morali soggettive un essere consapevole e senziente come un orango o un delfino.
E’ evidente poi che la storiella che veniva raccontata ai bambini una cinquantina di anni fa, che cioè la nostra specie ha l’intelligenza mentre gli animali hanno soltanto l’istinto, è qualcosa che fa sorridere, anche alla luce di studi recenti sulle emozioni, i sentimenti, il comportamento e la struttura delle società di tanti esseri viventi.
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