Grazie alle investigazioni compiute dalle associazioni animaliste, che portano avanti una battaglia che è ormai trentennale per fermare la mattanza delle foche in Canada, le modalità di uccisione di questi animali sono, al giorno d’oggi - anche grazie a internet - più che note a tutti. I cacciatori ammazzano le foche con i "hakapiks" (randelli con un uncino metallico all’estremità), vibrando violentissimi colpi sulla testa dei poveri animali indifesi; trascinano i corpi tremanti sul ghiaccio ed accatastano in pile le foche morenti. Quando arriva il momento della scuoiatura il 42% di loro rimane ancora cosciente mentre la loro pelle gli viene strappata dal corpo. La sofferenza è atroce e inimmaginabile.
Chiunque abbia visto i filmati sulla caccia alle foche canadesi si è chiesto come sia possibile che una simile barbarie accada ancora al giorno d’oggi, nel 2009; per giunta in un paese come il Canada, economicamente benestante. Ci si chiede come sia possibile uccidere un essere inerme, spesso un cucciolo di poche settimane, con una tale crudeltà ed efferatezza. La risposta a questa domanda stenta ad arrivare, e non trovando una spiegazione logica e soddisfacente spesso coloro che di rifiutano di voltarsi dall’altra parte e lasciare le foche al loro destino di sangue si attivano per salvarle: da chi lascia semplicemente la propria firma sul foglio di una petizione, a chi sale su un aereo e si reca nel luogo del massacro. Per fermarlo, o almeno, per ostacolarlo. Per dare un po’ di fastidio ai cacciatori. Questo ha fatto Paul Mc Cartney, che, anni or sono, insieme alla moglie andò in Canada, proprio su quei ghiacci insanguinati, per fermare i cacciatori che, armati di bastone, infierivano senza pietà sui cuccioli inermi.
Il Canada, la Groenlandia e la Namibia sono responsabili del 60% delle 900 000 foche cacciate ogni anno.
Il mercato che conferisce al Canada il triste primato in quanto a numero di capi uccisi ed efferatezza riguarda principalmente il commercio della pelliccia e del grasso della foca, per la carne non essendoci praticamente richiesta; i corpi scuoiati restano infatti a decomporsi sul ghiaccio.
L’Europa è il principale destinatario dei prodotti derivati dalle foche. Il lavoro delle associazioni finalizzato a far luce sull’origine di tali prodotti ha portato, negli anni, al risveglio delle coscienze di moltissimi cittadini che hanno fatto sentire la propria voce e l’indignazione di chi pretende, come cittadino di uno Stato civile, che i governi prendano posizione sul problema. I primi risultati concreti arrivarono nel settembre 2006, quando il Parlamento Europeo approvò una dichiarazione scritta (sostenuta dall’OIPA Italia tramite petizione internazionale) che chiedeva di vietare l'importazione di prodotti derivati dalle foche: carne, olio, grasso, organi, pelli non conciate e pellicce. Avendo raccolto il sostegno di 424 deputati, ben al di là quindi della maggioranza dei parlamentari, la Dichiarazione Scritta è diventata una posizione ufficiale del Parlamento l'11 settembre 2006.
Nel luglio 2008 la Commissione Europea ha adottato una proposta di regolamento che vieta di commercializzare, di importare o di esportare prodotti ricavati dalle foche all'interno dell'Unione Europea. Il commissario all'ambiente, Stavros Dimas, ha dichiarato: "I prodotti ricavati dalle foche provenienti da paesi che utilizzano metodi di caccia crudeli non devono entrare nell'UE. L'UE s'impegna a sostenere livelli elevati di benessere per gli animali."
Un rappresentante del mercato delle pelli di foca afferma: “Lo spettro del bando in Europa deve essere preso seriamente. Se la se la pelliccia non dovesse più essere di moda sulle passerelle di Parigi e Milano, non lo sarebbe più da nessun’altra parte del mondo. Cina e Russia vogliono le cose che sono alla moda, ma la moda viene dettata dai paesi europei”.
Il mercato di pelli di foca in Europa ha avuto un crollo negli ultimi 20 anni. Meno di 10 anni fa il valore del business si aggirava su cifre spaventose come 16 miliardi di vecchie lire. Ora l' importazione è irrisoria, attestandosi su un valore di appena 60mila euro.
Il 19 Aprile 2008, alla chiusura ufficiale della caccia in Canada, funzionari governativi hanno riferito che l’anno scorso la partecipazione era stata notevolmente bassa e che molti cacciatori avevano rinunciato, sia per il prezzo elevato del combustibile, sia per quello troppo basso di vendita: addirittura la metà rispetto all’anno precedente. La Carino Company Ltd, società leader nel settore, ha reso note le cifre: a stagione conclusa, 114.107 animali, sui 275.000 stabiliti come tetto massimo dal Governo, non sono stati cacciati, quindi circa il 40%.
Tra le cause della crisi di questo mercato vi sono le misure restrittive già messe in atto in alcuni paesi europei, come Belgio e Olanda, nonché i segnali che arrivano anche a livello mondiale, che contribuiscono a far retrocedere il mercato e ad affermare quel sentire comune che condanna fermamente e senza mezzi termini una strage che non ha più diritto di esistere nel nostro secolo. Mentre in Usa lo stop alle importazioni risale al '72, in Messico è più recente e anche la Groenlandia ha mostrato di voler andare nella medesima direzione.
Il 3 marzo 2009, il senatore canadese Mac Harb ha presentato la proposta di legge finalizzata a mettere, una volta per tutte, la parola fine a questa caccia. Per la prima volta dalla metà degli anni '70, un politico canadese, dimostrando immenso coraggio, ha espresso in modo deciso l’opposizione alla caccia ed il desiderio di vederla bandita dal suo Paese.
Il Parlamento Europeo voterà il testo finale in Aprile, permettendo quindi di renderlo legge in UE...
31 Marzo 2009 - Scrivi un commento