E se il livello del mare rischia di alzarsi anche di 7 metri (conseguenza di un eventuale riscaldamento globale di soli 2 gradi...), niente paura! Grazie a questi “illuminati” designer, giocheremo d’anticipo e ci prepareremo tutti ad abitare sull’acqua...
Senza contare – rassicurano gli ideatori di Waterpod – che, innalzamento dei mari o no, queste abitazioni potrebbero venire utilizzate nelle zone a rischio tsunami (ci chiediamo come e in che modalità) o – udite udite – come alternativa alla selvaggia cementificazione costiera! Ottima idea, aggiungiamo noi! Ma perché non ci abbiamo pensato prima? Così, voltate le spalle alle nostre splendide coste ormai salvate dal cemento, cercheremo l’orizzonte tra centinaia di case galleggianti che oscurano quasi del tutto i nostri mari!
Ma vediamo nel dettaglio in cosa consiste il progetto. Si tratta di una sorta di isola artificiale a tripla cupola, realizzata su una chiatta industriale impiegando materiali di riciclo come legno, plastica e tessuti. La struttura sarà alimentata da un sistema ibrido in parte solare e in parte eolico, e verrà dotata di un impianto per purificare l’acqua, così da destinarla alle coltivazioni verticali e idroponiche (tecnica di coltivazione fuori suolo).
Waterpod è stata poi concepita anche per ospitare attività artistiche ed “eco-iniziative” (definizione dal sapore ambiguo), il tutto all’insegna dell’autosufficienza energetica e del risparmio economico.
La piattaforma, che misurerà circa 25 x 8 metri, sarà così organizzata: la prima cupola (9 x 6 mt) sarà dedicata ad attività artistiche, letture e workshop, la seconda (3 x 3 mt) racchiuderà uno spazio dedicato all’agricoltura e la terza (6 x 6 mt) costituirà la zona notte.
La piattaforma sperimentale toccherà l’acqua il primo maggio, partendo dal Newtown Creek, tra Brooklyn e il Queens, per scivolare lungo l’East River, fino al New York Harbor e al fiume Hudson.
A questo punto riteniamo interessante citare il commento del prof. Giovanni Sasso, dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura: “Non bisogna pensare che tutto si riassuma solo nell’utilizzo di materiali a basso impatto ambientale. La bioarchitettura ha senso quando ha un effetto sociale diffuso, vale a dire quando riesce a creare affezione in chi vive lo spazio abitabile. Solo sentendo proprio il luogo in cui si vive si riesce ad amarlo, a prendersene cura e a rinnovarlo, trasformando la propria casa in un qualcosa che contribuisce a migliorare l’ambiente e la società. Queste case, vere e proprie isole, potrebbero non riuscire a creare questo legame tra chi le utilizza e il resto del mondo”.
Parole su cui riflettere, dato che sul sito Internet dedicato a Waterpod, si leggono dei propositi che, più che rassicuranti, suonano minacciosi: “Con questo progetto speriamo di incoraggiare la crescita e lo sviluppo della società, parallelamente a come noi immaginiamo il futuro da 50 a 100 anni a venire”. Continuando a leggere, si scopre che gli ideatori dichiarano di immaginare “una possibile futura comunità nomade e acquatica”.
Ogni ulteriore commento sulla sensatezza di questo progetto è superfluo.
20 Gennaio 2009 - Scrivi un commento